lunedì 15 novembre 2010

Ulteriore sospensione

Il Collegio dei Docenti del Dottorato di ricerca in Filosofia riunitosi il 20 ottobre 2010 mi ha concesso una proroga della sospensione dal dottorato che quindi riprenderà il 31.10.2012.

Questa è un'ottima notizia. Posso portare a termine il mio mandato di cinque anni qui ad Atene e quando rientro potrò continuare il mio dottorato.

martedì 4 novembre 2008

Segni di vita :-)

Anche quest'anno scolastico sono ad Atene nella Scuola Italiana.

Speravo di poter continuare a studiare per il dottorato, sebbene a ritmo ridotto, anche in questa nuova situazione. Purtroppo non ci sto riuscendo. Non ho un attimo di tempo. La scuola, lo studio del greco, la nuova situazione ambientale e soprattutto i due bambini occupano quasi tutto il mio tempo.

Si due bambini. Infatti il 20 giugno 2008 e' nata qui ad Atene Dafne!

Appena avro' piu' tempo e calma riprendero' con lo studio e con il blog.

martedì 2 ottobre 2007

Spinoza on Animal Consciousness, and the Reduction of Ethics to the Humans

Il 20 settembre 2007 a Villa Mirafiori ho partecipato alla lezione-conferenza della Prof.ssa Syliane Malinowski-Charles (Temple University/Philadelphia – USA) su Spinoza on Animal Consciousness, and the Reduction of Ethics to the Humans.
La lezione era dedicata soprattutto agli studenti di dottorato di tutti i cicli.

venerdì 28 settembre 2007

Relazione finale per corso di Psicobiologia e Neuroscienze

Per adempiere ai miei obblighi di dottorato, nel secondo semestre dell'anno accademico 2006-07, ho seguito il corso di Psicobiologia e Neuroscienze, tenuto dal Prof. Alfredo Brancucci "Introduzione alle neuroscienze" e alla fine ho scritto la seguente relazione.

Scarica il testo come documento Word compresso (zip)


La rilevanza per la mia ricerca di dottorato delle ricerche psicobiologiche sul sistema sensori-motorio e sul sistema dei neuroni specchio negli uomini e negli altri primati

Introduzione

Questo breve elaborato viene presentato a conclusione del corso di Psicobiologia
e Neuroscienze che ho seguito nel secondo semestre dell'anno accademico 2006-2007.

Invece di tirare le somme, con un breve saggio riassuntivo, di un aspetto filosoficamente importante degli argomenti studiati, mi sembra più interessante delineare alcune linee di indagine, che mi ripropongo di sondare ed eventualmente approfondire, utili per la mia ricerca di dottorato. Quindi le considerazioni che svolgerò hanno un carattere solo provvisorio e congetturale.

La mia ricerca di dottorato intende analizzare il concetto di rappresentazione mentale e mostrare come questo concetto così centrale nella stragrande maggioranza delle concezioni di filosofia della mente debba subire un profondo ripensamento che ne limiti l'ubiquità e ne ridefinisca la natura. Varie indagini nel campo della nuova scienza cognitiva ci spingono a ritenere che un agente razionale possa operare nel proprio ambiente senza ricorrere a rappresentazioni interne degli oggetti circostanti, collegando direttamente gli input sensoriali agli output motori; oppure che possa portare a termine delle attività cognitive non elaborando rappresentazioni interne ma manipolando dei veicoli esterni al proprio cervello; o ancora che l'attività percettiva sia fortemente collegata all'attività motoria ed elaborativa e quindi non abbiano senso le tradizionali divisioni tra conoscenza e azione e tra percezione e riflessione (sulle rappresentazioni); infine che anche quando si continui ad utilizzare le rappresentazioni interne esse siano spesso distribuite e non simboliche.

La mente e la conoscenza devono sempre essere incorporate e integrate nell'ambiente fisico e sociale; il concetto di rappresentazione mentale deve subire contemporaneamente un restringimento e un'estensione superando il tradizionale confine costituito dal cranio dell'individuo biologico.

Gli aspetti neurofisiologici su cui intendo soffermarmi sono le recenti ricerche sul sistema sensori-motorio e sul sistema dei neuroni specchio nelle scimmie e negli uomini. Per quanto riguarda il sistema sensori-motorio mi limiterò alle aree motorie corticali, tralasciando le vie motorie discendenti e i circuiti sensori-motori spinali.

Per decenni ha dominato l'idea che le aree motorie della corteccia cerebrale sarebbero destinate a compiti meramente esecutivi, privi di alcuna effettiva valenza percettiva e, meno che mai, cognitiva1. Ma oggi sappiamo che il sistema motorio è formato da un mosaico di aree frontali e parietali strettamente connesse con le aree visive, uditive, tattile e che tali aree svolgono anche un'attività classificatoria in grado di discriminare selettivamente i dati sensoriali2. Quindi il rigido confine tra processi percettivi, cognitivi e motori finisce per rivelarsi in gran parte artificioso: il cervello che agisce è anche un cervello che comprende3.

All'interno di alcune aree motorie sia delle scimmie sia degli esseri umani sono stati scoperti all'inizio degli anni Novanta alcuni neuroni che si attivano sia quando il soggetto svolge una determinata azione sia quando osserva un altro svolgere la stessa azione. Tali neuroni sono stati chiamati neuroni specchio4. Il punto interessante è che tali neuroni non rispondono a una sequenza di movimenti fisici, ma a dei veri e propri atti motori finalizzati, cioè a delle azioni. Si può quindi affermare che i neuroni specchio, all'interno del sistema motorio, sono alla base della nostra capacità di comprendere le intenzioni dei nostri simili.

  1. Rizzolatti G. e Sinigaglia C., So quel fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. Raffaele Cortina Editore, Milano, 2006. (pag. 2).
  2. Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit. (pag. 2).
  3. Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit. (pag. 3).
  4. Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit. (pag. 3).

Le linee di ricerca del mio dottorato

Come già affermato, quello di rappresentazione mentale è un concetto centrale nella stragrande maggioranza delle concezioni di filosofia della mente. Semplificando, sembra del tutto ragionevole che per poter conoscere, riflettere e agire nel mondo qualunque soggetto debba costruirsi un modello interno del mondo esterno; che tale modello sia composto di rappresentazioni mentali degli oggetti del mondo; che la riflessione sia un'elaborazione esercitata su tali rappresentazioni interne. Eppure è lecito sostenere che alla base di questo concetto ci siano delle difficoltà logiche ed empiriche che ne minano profondamente la solidità e che spingono la nuova scienza cognitiva a riformularne la natura e a limitarne fortemente l'ubiquità.

In primo luogo, non appare più così scontato che il cervello implementi le rappresentazioni mentali in modo simbolico. Il connessionismo ritiene che le rappresentazioni mentali siano implementate in modo distribuito su più unità-neuroni e che talvolta sia possibile far corrispondere ad ogni unità-neurone implicata un tratto determinato dell'oggetto rappresentato (rappresentazione distribuita simbolica), ma che altre volte tale corrispondenza non possa essere stabilita (rappresentazione distribuita sub-simbolica)5.

Per la robotica basata sul comportamento (behavior-based robotics)6, poi, è possibile costruire degli agenti che mostrano un comportamento intelligente senza far ricorso a esplicite rappresentazioni interne del mondo in cui si muovono. Tali agenti si basano su un'architettura (Subsumption Architecture) che implementa livelli via via più complessi uno sull'altro. Ogni livello è quasi completamente autonomo rispetto agli altri e genera un comportamento particolare collegando direttamente la percezione all'azione senza dover passare attraverso un elaboratore centrale. Che tali agenti siano davvero privi di rappresentazioni è stato messo in dubbio da alcuni critici della nuova robotica, infatti Toto7, uno degli agenti più sofisticati costruiti nell'Artificial Intelligence Laboratory del MIT, riesce a pianificare i suoi movimenti servendosi di una mappa interna dell'ambiente in cui opera; ma tale mappa è distribuita e costruita in base agli spostamenti precedenti, e non è possibile fare una distinzione tra la mappa e l'uso della mappa, tra il ragionamento e la mappa stessa; è lecito quindi affermare che sebbene ci sia una qualche forma di rappresentazione essa non è autonoma, isolabile e esplicita. L'intelligenza di tali robot, poi, è per il momento molto limitata – Brooks parla di un'intelligenza paragonabile a quella di un insetto – e resta una questione aperta fino a che grado di complessità sia possibile spingere tale architettura senza dover ricorrere a esplicite rappresentazioni interne.

Ma è nel termine stesso di 'rappresentazione' che si celano le ambiguità più insidiose. Infatti sembrerebbe che una rappresentazione sia una ri-presentazione all'interno della mente di qualcosa che è già presente ai sensi. Ma ripresentare a chi? E, poi, se qualcosa è già presente, che bisogno c'è di ripresentarlo? Dennett con la sua critica al Teatro Cartesiano8 ci dissuade dal pensare che esista un homunculus centrale a cui tutti i dati sensoriali vengano ri-presentati e ci invita invece a pensare a una pluralità di agenti elementari, ognuno dei quali riceve ed elabora un singolo aspetto di essi; tali agenti possono essere molto semplici, quasi indipendenti tra loro e svolgere i loro compiti alla maniera dei robot di Brooks. Per limitarsi alla sola visione, il fatto che nella corteccia cerebrale dei macachi siano state scoperte finora ben 31 aree visive ognuna specializzata nell'analisi di un diverso stimolo visivo9 dovrà pur significare qualcosa!

Ma sono le stesse separazioni tra sensazione e riflessione e tra conoscenza e azione che la scienza cognitiva classica eredita dall'empirismo seicentesco che devono essere messe in discussione. Il nostro sistema percettivo, infatti, non riproduce copie fedeli degli oggetti esterni che colpiscono i nostri sensi a beneficio di una successiva elaborazione, ma è esso stesso un sistema elaborativo che trascura alcuni aspetti dei dati e ne esalta degli altri svolgendo un'attività intrinsecamente creativa10. Inoltre, anche nella semplice conoscenza, un soggetto può svolgere delle azioni, delle manipolazioni degli oggetti nel suo ambiente, per portare a termine dei compiti cognitivi che sarebbero altrimenti impossibili o soltanto più difficili; egli svolge cioè delle 'azioni epistemiche'11. A tale proposito mi sono sembrati molto significativi: a) la ricerca di Kirsh e Maglio sulle modalità del gioco del Tetris12, che evidenzia come molti movimenti dei pezzi vengono effettuate non per realizzare effettivamente un posizionamento finale di essi (azione pragmatica), ma per conoscerne la natura o la posizione (azione epistemica); b) gli esperimenti di O'Regan e Noë sulla cecità al cambiamento (change blindness) e la loro teoria sullo natura essenzialmente sensori-motoria dell'esperienza visiva13 c) i già menzionati lavori di Brooks14 sulla costruzione di agenti intelligenti privi di rappresentazioni. Tutto ciò ci spinge a limitare il ricorso a immagini mentali nella spiegazione dell'attività cognitiva umana e a integrare in essa l'apparato sensori-motorio. La necessità di 'scaricare' ogni homuncolus dotato di qualche intelligenza residua sostituendolo con esecutori stupidi15 e considerazioni di economia computazionale sembrano consigliare di interrompere il processo di 'ripresentazione' il più presto possibile, e cioè al primo stadio della relazione tra soggetto e oggetti nel mondo. Per questi motivi i modelli dell'attività cognitiva che non tengono in giusto conto sia l'elaborazione che si svolge già a livello percettivo, sia la possibilità che il soggetto non si costruisca un rappresentazione interna degli oggetti esterni ma operi direttamente su essi, sia la stretta connessione tra la conoscenza e l'azione, danno una visione distorta del funzionamento della mente.

Queste ultime considerazioni mi hanno spinto a passare dalla riflessione sul concetto di rappresentazione a quella sul concetto di mente incorporata e di mente estesa.

Ovviamente anche i teorici della teoria computazional-rappresentativa della mente possono accettare tranquillamente che in ultima analisi la mente sia incorporata, che il soggetto interagisca in vario modo con l'ambiente, che gli aspetti sensoriali siano importanti; ma il modello cognitivo su cui si basano (Sensazione → Modello → Pianificazione → Azione) e il loro concentrarsi sulla fase interna della costruzione del modello e della pianificazione, tendono a trascurare la centralità dell'azione e della sensazione nella pianificazione stessa.

Secondo i sostenitori della tesi della mente estesa, la mente non è limitata dalla pelle e dal cranio, poiché in varie attività cognitive l'organismo umano è collegato con entità esterne in modo tale da creare un sistema accoppiato che può essere considerato un sistema cognitivo a tutti gli effetti. In un sistema del genere, tutte le componenti, sia interne che esterne, giocano un ruolo causale attivo e controllano collettivamente il comportamento. Rimuovendo una componente esterna, si avrà un decadimento delle competenze comportamentali del sistema, in modo non dissimile da quando si rimuove una parte del cervello. "Se, nello svolgere un determinato compito, una parte del mondo funziona come un processo, che se avvenisse nella testa, non avremmo esitazione a riconoscerlo come parte del processo cognitivo, allora quella parte del mondo è parte del processo cognitivo. I processi cognitivi non sono (tutti) nella testa!"16.

Il dibattito sulla tesi della mente estesa si concentra soprattutto sulla possibilità o meno di ritenere intrinsecamente cognitivi i processi e i veicoli esterni all'individuo biologico, e in particolare sulla possibilità che esistano delle genuine credenze dei soggetti che risiedono non su supporti cerebrali ma su supporti esterni. Ma al di là di questo problema che rischia di diventare una questione puramente essenzialista, il punto importante che i sostenitori espliciti o impliciti17 della tesi della mente estesa ci spingono a riconoscere è che nel corso dell'evoluzione gli esseri umani così come hanno imparato ad usare strumenti esterni per ampliare le loro capacità motorie, hanno anche imparato ad usare dei supporti esterni per ampliare le loro capacità cognitive. I supporti cognitivi, le tecnologie cognitive, i mind scaffoldings, che più spesso vengono citati sono il linguaggio, la scrittura, i disegni e i diagrammi, le notazioni e gli algoritmi matematici. Credo sia corretto ritenere che queste tecnologie cognitive abbiano creato un tipo di mente completamente nuovo e che quindi la mente umana attuale non sia semplicemente quella del homo sapiens prelinguistica + linguaggio + scrittura, + ecc., ma un nuovo sistema cognitivo che eredita ma supera i modelli cognitivi precedenti.

Quindi, escludere dal campo della nostra cognizione tutta una serie di risorse che abbiamo imparato ad usare semplicemente perché il loro significato non sarebbe intrinsecamente intenzionale ma stabilito in modo convenzionale sembra davvero una testardaggine che restringe in modo esagerato le operazioni cognitive che possiamo svolgere e sembra che abbia davvero ragione Donald quando afferma che "Nessuna spiegazione della capacità umana di pensiero che ignori la simbiosi tra memoria biologica e memoria esterna può essere considerata soddisfacente."18

Mi sono così trovato a dedicare una certa attenzione anche alle tematiche molto suggestive ma altamente congetturali dell'evoluzione cognitiva. Non credo che tale aspetto possa rientrare nella mia ricerca di dottorato ma alcuni argomenti mi sembrano molto interessanti

Per esempio, le teorie di Merlin Donald19 e di Terrence Deacon20, sull'origine del linguaggio oppure il paragone che può essere stabilito tra robotica basata sul comportamento e la programmazione orientata agli oggetti e la selezione naturale.

Secondo Donald, la mente dell'uomo attuale si è evoluta da quella dei primati attraverso una serie di grandi adattamenti, ognuno dei quali portò alla comparsa di un nuovo sistema rappresentativo. Ciascun nuovo sistema di rappresentazioni successivo si è conservato intatto nell'architettura mentale attuale: la nostra mente non è una tabula rasa ma un mosaico delle vestigia cognitive dei primi stadi dell'evoluzione umana. La moderna struttura rappresentativa della mente umana racchiude in sé le conquiste sia di tutti i nostri progenitori ominidi sia di alcune specie di scimmie antropomorfe. Dalla mente delle grandi scimmie antropomorfe si è passati alla prima mente e cultura tipicamente umane, quella di Homo Erectus che è essenzialmente una cultura mimica; la nascita del linguaggio simbolico ci porta alla mente e alla cultura mitiche di Homo Sapiens; infine con la nascita della scrittura e la capacità di immagazzinare simboli in una memoria esterna si arriva alla mente e alla cultura teoretiche. L'interesse della proposta di Donald consiste soprattutto nell'ipotesi di un lungo periodo di cultura mimetica precedente alla nascita del linguaggio e nell'importanza di un'evoluzione non biologica ma tecnologica come l'invenzione delle rappresentazioni visuografiche. Nella presentazione della cultura mimica, Donald individua una serie di caratteristiche delle rappresentazioni mimetiche che secondo lui sono alla basa anche del successivo sviluppo del linguaggio, e cioè l'intenzionalità, la generatività, la comunicatività, la referenzialità, l'illimitatività e l'endogenesi. Anche in assenza di linguaggio è quindi possibile una condivisione della conoscenza, un modellamento delle abitudini e delle gerarchie sociali, l'addestramento, il coordinamento e la suddivisione del lavoro, la capacità di riprodurre eventi e di rappresentarne la struttura

Per quanto riguarda il paragone tra evoluzione, robotica e programmazione orientata agli oggetti, alla somiglianza tra le prime due esplicitamente stabilita da Brooks21 stesso, vorrei aggiungerne un'altra con la programmazione orientata agli oggetti. Così come l'evoluzione naturale ha impiegato molto più tempo nella generazione degli organismi più semplici (entità unicellulari, prime piante, primi vertebrati, ecc.) che fossero in grado di reagire in modo semplice ma 'intelligente' alle sfide dell'ambiente, per poi impiegare sempre meno tempo nella generazione degli organismi man mano più complessi, così nella costruzione di robot intelligenti, i problemi più difficili sono quelli legati all'attività sensori-motoria e forse per la costruzione di robot davvero intelligenti non si dovrà attendere molto tempo una volta che questo primo passo sia stato portato a termine. In uno spirito simile si può fare un altro paragone tra la robotica basata sul comportamento e la programmazione orientata agli oggetti. Chiunque sia passato dalla programmazione procedurale alla programmazione agli oggetti si è stupito della facilità con cui si possono costruire programmi con oggetti molto complessi una volta che si siano prima realizzati gli oggetti costitutivi più elementari; sono questi ultimi i veri ossi duri e non quelli più complessi come si pensava a prima vista. Non mi sembra un caso inoltre che l'affermarsi di questo nuovo stile di programmazione avvenga negli stessi anni in cui Brooks e colleghi escogitavano il loro nuovo stile nel campo dell'IA.

  1. Rumelhart D. E e McClelland J.L.(eds.), Parallel Distributed Processing, MIT Press, Cambridge, 1986, (cap. 3 e 6) oppure Massimo Marraffa, Filosofia della psicologia, Laterza, Bari, 2003 (pag. 119-122).
  2. Brooks R. A., Cambrian Intelligence. The Early History of the New AI, The MIT Press, 1999
  3. Brooks R. A. e Mataric M., "Learning a Distributed Map Representation Based on Navigation Behavior" che ora costituisce il capitolo 3 di Cambrian Intelligence.
  4. Daniel Dennett, cit.
  5. Pinel J., Psicobiologia, Il Mulino, Bologna, 2000 (pag. 156)
  6. Pinel J, cit. (pag. 116).
  7. Vedi Kirsh D. e Maglio P., "On Distinguishing Epistemic from Pragmatic Action", Cognitive Science, 18, 1994, pagg. 513-549.
  8. Kirsh D. e Maglio P., cit.
  9. O'Regan K. e Noë A., "A sensorimotor account of vision and visual consciousness", in Behavioral and Brain Sciences, n. 24, (939-1031), 2001
  10. Brooks, cit.
  11. Cfr. Daniel Dennett, Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Bradford Books, MIT, 2005 (pag. 70)
  12. Clark, A. e Chalmers, D. J. , "The Extended Mind", Analysis 58, 1, 1998, pagg.7-19. (pag. 11)
  13. Tra i sostenitori espliciti della mente estesa possiamo annoverare Clark, Wilson, Hurley, Menary; tra quelli impliciti Dennett, Donald, Cellucci, Hutchins
  14. Donald, M., L'evoluzione della mente. Per una teoria darwiniana della conoscenza, Garzanti, Milano, 1996 (pag. 414)
  15. Donald, M., Opera citata.
  16. Deacon Terrence, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Fioriti, Roma, 2001
  17. Brooks, cit.

Il sistema sensori-motorio

Una prima semplicistica classificazione delle principali aree corticali implicate nel controllo dei movimenti prevede22:

  1. La corteccia associativa parietale posteriore e la corteccia associativa prefrontale dorsolaterale
  2. La corteccia motoria primaria, posta nella parte posteriore del lobo frontale subito anteriormente al solco centrale
  3. La corteccia motoria secondaria, posta nella parte posteriore del lobo frontale subito anteriormente all'area motoria primaria.

Sempre semplificando, potremmo dire che queste aree svolgono le seguenti funzioni:

  • La corteccia associativa parietale posteriore
    • integra i dati visivi, uditivi e somatosensoriali che localizzano i nostri arti e gli oggetti che ci circondano
    • invia i propri segnali alla
      • corteccia associativa prefrontale dorsolaterale
      • corteccia motoria secondaria
  • La corteccia associativa prefrontale dorsolaterale
    • riceve dati dalla corteccia associativa parietale posteriore e dai lobi frontali presumibilmente legati a compiti cognitivi e motivazionali superiori
    • invia i propri segnali alla corteccia motoria secondaria
  • La corteccia motoria secondaria
    • riceve segnali dalla corteccia associativa parietale posteriore e dalla corteccia associativa prefrontale dorsolaterale
    • invia i propri segnali alla corteccia motoria primaria
  • La corteccia motoria primaria
    • riceve segnali dalla corteccia motoria secondaria
    • invia i propri segnali ai neuroni motori del midollo spinale

Recenti studi citoarchitettonici e funzionali hanno però imposto una classificazione più dettagliata, arrivando a individuare circa 12 aree motorie distinte nei primati.

Oltre alla corteccia associativa parietale posteriore e alla corteccia associativa prefrontale dorsolaterale è stata individuata un'altra area strettamente connessa alle aree motorie vere e proprie: la corteccia motoria del cingolo, di cui però non si conoscono ancora bene le funzioni.

Inoltre quella che un tempo veniva chiamata corteccia associativa parietale posteriore viene ora suddivisa in una molteplicità di aree indipendenti ciascuna delle quali appare deputata a elaborare determinati aspetti dell'informazione sensoriale e risulta connessa a effettori specifici. Ma la cosa più interessante è che i suoi neuroni non sono solo associativi ma presentano un'attività in connessione ad atti motori; quindi la sua integrazione nel sistema motorio vero e proprio è ancora più stretta di quanto si pensava.

La corteccia motoria primaria (MI) non viene più identificata con l'area 4 e parte dell'area 6 della mappa di Brodmann23, ma solo con l'area 4 (oppure con l'area F1, nella nomenclatura usata da Von Economo e Koskinas). È composta soprattutto da cellule piramidali e manca del IV strato di cellule granulari24. Si è a lungo discusso se MI guidi l'azione di singoli muscoli o di gruppi di muscoli; l'opinione più diffusa oggi è che sebbene sia in grado di influenzare il comportamento di singoli muscoli nella maggior parte dei casi guida l'azione di un gruppo di essi in vista di un movimento complesso. Come si sa già da tempo – basti pensare al homunculus di Penfield o al simiunculus di Woolsey della metà del Novecento– MI rappresenta somatotopicamente il corpo umano con una sproporzione a favore della bocca e delle mani.

La corteccia motoria secondaria (MII), corrispondente grosso modo all'area 6 di Brodmann, viene suddivisa in

  • corteccia premotoria, posta a fianco (anteriormente) a MI e come essa priva – del tutto o in parte - del IV strato di cellule granulari, ma anche di grandi cellule piramidali presenti invece in MI. Le sue proiezioni sono soprattutto verso l'area MI e scarsamente verso il midollo spinale. Poiché la corteccia premotoria non è uniforme né nella struttura né nelle funzioni viene divisa a sua volta in
    • area premotoria dorsale (PMD), composta dalle aree F2 e F7, richiede in genere una stimolazione elettrica più alta per generare attività motoria e i suoi neuroni sono attivi subito prima e durante il movimento degli arti, per cui si pensa che abbia un'importante funzione nella preparazione di un movimento.
    • area premotoria ventrale (PMV), composta dalle aree F4 e F5 (la prima in posizione dorso-caudale e la seconda in posizione ventro-rostrale all'interno di PMV), presenta un sottile strato IV granulare e richiede una bassa stimolazione elettrica per attivarsi. Non sembra sia in grado di guidare gli arti posteriori. Mentre F4 rappresenta il braccio, il collo e la faccia, F5 prevalentemente la mano e la bocca. Insieme sembrano avere un ruolo predominante nella coordinazione occhio-mano, in gesti quali il toccare, l'afferrare, il portare alla bocca.
    • Molti neuroni in F5 sono attivati non nel corso di movimenti fisici, ma in atti motori finalizzati. Una parte dei neuroni di PMV non è attiva solo agli atti motori, ma è sensibile anche a stimoli sensoriali. In particolare, alcuni neuroni di F5 presentano anche una sensibilità visiva e alcuni di quelli di F4 possono rispondere o a stimoli somatosensoriali o sia a stimoli somatosensoriali che visivi. E' interessante notare che i campi ricettivi visivi di questi ultimi neuroni non sono relativi alla retina, ma al corpo (e quindi si spostano con il braccio o la mano, anche se l'oggetto non si muove sulla retina).
      Negli esseri umani, parte di PMV dell'emisfero sinistro - conosciuta come area di Broca e specializzata nel controllo motorio del linguaggio - corrisponde grosso modo all'area F5 delle scimmie.
  • corteccia motoria supplementare, è una delle aree motorie da più tempo conosciute e sembra sia presente in molti mammiferi. È posta sulla superficie dorsale del lobo frontale mesiale in posizione rostrale rispetto a MI e si estende anche all'interno della scissura longitudinale. Anch'essa è granulare ed è composta principalmente da neuroni piramidali più piccoli di quelli di MI con cui presenta dense connessioni.

In conclusione, le relazioni di tutte queste aree rivelano un'elaborazione molto complessa sia gerarchica che parallela e con una forte segregazione funzionale. Mentre la corteccia primaria è implicata soprattutto nell'esecuzione di movimenti semplici e volontari, le altre aree (SMA, PMD, PMV), entrano in gioco soprattutto nell'elaborazione motoria di alto livello, come la preparazione e la programmazione di sequenze di movimenti e la coordinazione di movimenti complessi e bilaterali. Queste ultime aree interagiscono con MI e agiscono in parallelo con essa, si proiettano direttamente anche sul midollo spinale e il bulbo, riuscendo a inibire gli ordini provenienti da MI

A causa della molteplicità di strutture e di funzioni, il sistema motorio non può più essere confinato al ruolo di mero esecutore passivo di comandi originati altrove. La stretta integrazione tra le aree associative e il sistema motorio vero e proprio, le capacità del sistema premotorio di usare direttamente vari dati sensoriali diminuiscono l'importanza dell'individuazione del 'punto' in cui i 'comandi' vengono trasformati in movimenti e rendono il sistema motorio stesso in gran parte 'intelligente'.

  1. Questa classificazione e la seguente più dettagliata sono state fatte integrando informazioni da: a) Pinel J, cit.; b) Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit.; c) Kaas J. H. e Stepniewska I.,"Motor Cortex" in
    V. S. Ramachandran (ed.), Enciclopedia of the Human Brain, AP
  2. Come ritenevano Penfield e Woolsey.
  3. Anche l'area 6 di Brodmann manca delle cellule stellari o granulari e per questomotivo le due are insime vengono chiamate 'corteccia agranulare'


I neuroni specchio

Come già visto le aeree F4 e F5 della corteccia premotoria ventrale presentano alcune interessanti caratteristiche25:

  • La maggior parte dei neuroni dell'area F5 non codifica singoli movimenti fisici, bensì atti motori, cioè movimenti coordinati verso un fine specifico.

Molti neuroni di F5, infatti, si attivano quando la scimmia afferra, per esempio, un pezzetto di cibo, indipendentemente dal fatto che tale atto motorio sia eseguito con la mano destra o sinistra o addirittura con la bocca. E, lo stesso tipo di movimento, per esempio, flettere un dito, può attivare un neurone nell'atto di afferrare, ma non in quello di grattarsi.

  • Una parte dei neuroni in F5 risponde selettivamente anche a stimoli visivi. Alcuni scaricano durante un atto motorio, per esempio, afferrare un oggetto (neuroni motori), altri alla sola presentazione dell'oggetto, sia seguita che non seguita da afferramento (neuroni visuo-motori).
  • La maggior parte dei neuroni dell'area F4 non si attiva solo durante l'esecuzione di atti motori, ma risponde selettivamente anche a stimoli sensoriali. Questi neuroni possono essere divisi in tre classi:
    • Neuroni somatosensoriali

    Sensibili soprattutto a leggeri stimoli tattili superficiali e con campi recettivi localizzati sulla faccia, sul collo, sulle braccia e sulle mani.

    • Neuroni somatosensoriali e visivi (bimodali)

    Rispondono allo stimolo visivo solo se questo è presentato nelle vicinanze del loro campo recettivo, che in genere è molto limitato (40-50 cm). I campi ricettivi visivi non sono ancorati alla retina, ma ai rispettivi campi ricettivi somatosensoriali.

    • Neuroni somatosensoriali, visivi e auditivi (trimodali)
  • L'area F5 presenta una stretta e reciproca connessione con l'area intraparietale anteriore (AIP) i cui neuroni sono attivi durante i movimenti della mano. Anche molti di questi neuroni, come quelli di F5, possono essere a dominanza motoria, visuo-motori o a dominanza visiva.
  • L'area F4 riceve ricche afferenze dall'area intraparietale ventrale (VIP). I neuroni di VIP hanno proprietà simili a quelli di F4.

Per dare un senso a queste caratteristiche delle aree F4 e F5, Rizzolatti avanza le seguenti proposte:

  • Il fatto che alcuni neuroni in F5 rispondono anche solo alla presentazione di un oggetto può essere spiegato se ci rifacciamo alla nozione di affordance di Gibson26. Secondo Gibson, la percezione visiva di un oggetto comporta l'immediata e automatica selezione delle proprietà intrinseche che ci consentono di interagire con esso; cioè le opportunità pratiche che l'oggetto offre all'organismo che lo percepisce. L'informazione visiva viene immediatamente proposta dal circuito AIP-F5 come opportunità motoria, come atto potenziale.
  • Il fatto che alcuni neuroni di F5 siano sensibili a degli atti motori e non a singoli movimenti può essere spiegato ipotizzando che F5 si comporti come se fosse una sorta di vocabolario le cui parole sono le singole azioni e i singoli modi di realizzarle. Quando ci troviamo di fronte ad un oggetto con le sue affordance, F5 immediatamente seleziona nel suo vocabolario le modalità motorie con cui trattarlo.
  • Il fatto che i neuroni del circuito VIP-F4 siano sensibili solo agli stimoli visivi vicini e abbiano campi ricettivi codificati in coordinate somatiche, mentre quelli del sistema formato dall'area intraparietale laterale (LIP) e dai campi oculari frontali (FEF) siano sensibili a stimoli visivi indipendentemente dalla distanza e abbiano campi ricettivi codificati in coordinate retiniche, dimostra che non esiste un unico sistema di coordinate nel nostro cervello e che lo spazio intorno a noi viene diviso in uno spazio lontano e in uno spazio vicino, quest'ultimo è essenzialmente uno spazio "per l'azione".
  • Le esperienze psicomotorie della prima infanzia hanno un'importanza fondamentale nel selezionare sia le affordance, sia le modalità più utili per agire sugli oggetti. Nello stesso modo hanno un'importanza nel costruire (e misurare) lo spazio che ci circonda in base allo spazio "del nostro corpo".

Ma la proprietà più interessante dei neuroni dell'area F5 fu scoperta per caso durante una sperimentazione libera su delle scimmie agli inizi degli anni Novanta. Si è visto che alcuni neuroni di questa area erano attivi sia quando la scimmia effettuava una determinata azione, sia quando la scimmia osservava un altro individuo, un'altra scimmia o lo sperimentare, compiere quell'azione. Questi neuroni sono stati chiamati neuroni specchio (mirror neurons).

Le caratteristiche motorie dei neuroni specchio sono identiche a quelle dei neuroni canonici, ad essere diverse sono le caratteristiche visive, infatti i neuroni specchio:

  • non rispondono alla semplice presentazione dell'oggetto;
  • ma nel compiere una determinata azione, o nel vedere compiere una determinata azione da un altro;
  • non rispondono a gesti che mimano quell'azione;
  • la loro reattività non dipende dalla distanza in cui l'azione osservata si svolge.
  • ma, come i neuroni canonici di F5, rispondono selettivamente solo ad una determinata azione e/o a una determinata modalità di realizzazione di tale azione. Quindi si hanno neuroni specchio "afferrare", "tenere", ecc.

Studi successivi hanno confermato la presenza di neuroni specchio anche nell'uomo. Il sistema dei neuroni specchio nell'uomo appare più esteso che nelle scimmie, è in grado di codificare anche atti intransitivi, ed è inoltre in grado di selezionare anche la sequenza degli atti e anche un'azione soltanto mimata.

  1. le informazioni in questa sezione derivano da: a) Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit.; b) Rizzolatti G. e Craighero L.., "The Mirror-Neuron System" , Annu. Rev. Neurosci. 2004 27:169-92;
  2. Gibson J., The Ecological Approach to Visual Perception, Houghton Mifflin, Boston, 1979

Aspetti di interesse per i miei studi e la mia ricerca di dottorato

Come già detto nell'introduzione le considerazioni seguenti non vogliono avere nessun carattere di originalità o di assolutezza; rappresentano per me soltanto degli interessanti spunti da vagliare e approfondire, delle semplici ipotesi di lavoro a proposito delle quali ricevere, caso mai, utili commenti, stroncature e suggerimenti.

Agire e comprendere

Nella presentazione schematica delle linee di ricerca che sto seguendo ho sottolineato più volte la necessità di spiegare l'attività cognitiva umana in stretta connessione con la sua attività motoria: la conoscenza non può essere separata dall'azione; le azioni umane hanno spesso un carattere epistemico; la mente non può essere separata dal corpo che agisce e dal mondo su cui agisce; l'esperienza sensoriale è costruita in base al modo in cui interroghiamo il mondo; gli input sensoriali sono spesso collegati direttamente agli output motori riducendo l'importanza di un 'comandante in capo' nella mente/cervello.

A tale proposito mi erano sembrate interessanti sul piano più filosofico le riflessioni di Dennett27, su quello più dell'Intelligenza Artificiale i lavori di Brooks28 e su quello più psicologico le ricerche di Kirsh e Maglio29. Mi ero riproposto di approfondire anche la spiegazione dell'esperienza visiva in termini sensori-motori di O'Reagan e Noë30

i quali sostengono che vedere è un modo di agire; che il mondo esterno serve all'organismo come sua propria rappresentazione; che interrogare il mondo in un certo modo sensori-motorio o in un altro produce una certa o un'altra esperienza visiva. Così come mi ero riproposto di studiare l'approccio ecologico alla visione proposto da Gibson31.

Lo studio del sistema sensori-motorio, la lettura di Rizzolatti sulle proprietà dei neuroni dell'area premotoria ventrale e delle caratteristiche motorie e sensoriali dei circuiti AIP-F5 e VIP-F4, e soprattutto quelle dei neuroni specchio, mi hanno spinto ad approfondire le mie conoscenze di tali argomenti per comprendere meglio:

  • Quali sono le parti di corteccia cerebrale che presentano nello stesso tempo proprietà motorie e sensoriali.
  • Quanta attività motoria queste parti riescono a controllare.
  • Che grado di complessità ha l'attività motoria controllata da tali parti.
  • In che modo le attività cognitive superiori riescono a controllare/inibire l'attività 'spontanea' di tali parti.
  • Che rischio c'è di sopravvalutare l'attività 'conoscitiva' che tali parti svolgono; in fondo è probabile che la maggior parte dell'attività motoria si svolge sempre tramite un flusso di informazione che vede una più netta separazione tra sensi-riflessione-azione.



  • Rappresentazione/rappresentazioni di un oggetto esterno

Come suggerito da Dennett32 e da Brooks33, è bene abbandonare l'idea che nella nostra testa esista un homunculus superiore a cui gli oggetti presenti nei sensi vengano ri-presentati; un tale homunculus deve essere sostituito da una schiera di agenti più elementari che svolgono ognuno una propria funzione in modo quasi indipendente tra loro. Il fatto che nella corteccia cerebrale esistano molte aree incaricate di rappresentare lo stato del corpo e degli oggetti esterni, che esista una forte ridondanza di tali rappresentazioni, che di uno stesso oggetto (o stessa parte del corpo) esistano contemporaneamente diversi sistemi di coordinate in cui vengono codificati, ci spinge a ritenere che al concetto di rappresentazione di un oggetto (o parte del corpo) dovremmo sostituire quello di rappresentazioni
di un oggetto (o parte del corpo). Ogni rappresentazione serve ad una parte del cervello a svolgere una parte di comprensione/azione sul mondo e forse non è necessario che tali rappresentazioni siano poi unificate in una sola super-rappresentazione che entra a far parte della coscienza.


Grammatica innata o vocabolario innato di atti?

Secondo Chomsky, la straordinaria capacità dei bambini di imparare la lingua materna può essere spiegato solo postulando l'esistenza di una struttura profonda, di una grammatica universale, innata, su cui tutte le lingue naturali si conformerebbero. Nello stesso spirito - e forse più giustificatamene - non si potrebbe ipotizzare l'esistenza di un vocabolario innato di atti motori che fornirebbe la base, gli atomi, su cui poi costruire tutti gli altri atti finalizzati?

La capacità dei neuroni di F5 di rispondere selettivamente a specifici atti motori, le capacità dei neonati anche dopo pochi giorni dalla nascita di imitare gesti con la lingua e la bocca34, il fatto che ratti adulti amputati alla nascita degli avambracci esibiscono i tipici movimenti delle spalle della tolettatura35, la non attivazioni di neuroni specchio nel caso di azioni tra specie troppo differenti, la capacità dei neuroni specchio negli umani di rispondere anche a sequenze di azioni, sembrerebbero confermare tale ipotesi.

Le prime esplorazioni psicomotorie, l'imitazione e l'apprendimento servirebbero a rinforzare alcune sequenze di atti e costruirne delle altre a partire da quelle innate e quelle rinforzate.



I neuroni specchio alla base della cultura mimica proposta da Merlin Donald

Il grande sviluppo del sistema dei neuroni specchio nella storia degli umani invece di essere avvenuto circa cinquantamila anni fa come sostiene Ramachandran36, in concomitanza con la comparsa delle prime forme di rappresentazioni visuografiche37, non può essere invece avvenuta circa un milione e mezzo di anni fa con la comparsa di homo erectus ed essere la base neurale che permette la nascita della mente imitativa di cui parla Merlin Donald? Ricordiamo che il libro di Donald è del 1991 e quindi prima della scoperta dei neuroni specchio.

In fondo le capacità cognitive che stanno alla base di tale modello mentale (l'intenzionalità, la generatività, la comunicatività, la referenzialità, l'illimitatività e l'endogenesi) e che saranno ereditate anche dalla mente umana linguistica sembrano essere proprio quelle che contraddistinguono il sistema specchio degli esseri umani da quello delle scimmie. Il sistema dei neuroni specchio occupa l'area F5 della corteccia delle scimmie che negli esseri umani corrisponde nell'emisfero sinistro all'area di Broca; e le proprietà dei neuroni specchio degli uomini a differenza di quelle delle scimmie permettono una loro attivazione anche di fronte ad un'azione solo mimata o di atti intransitivi, e permettono la selettività di sequenze di azioni.

  1. Daniel Dennett, cit.
  2. Brooks, cit.
  3. Kirsh D. e Maglio P., cit.
  4. O'Regan K. e Noë A., cit.
  5. Gibson J., cit.
  6. Daniel Dennett, cit.
  7. Brooks, cit.
  8. Rizzolatti G. e Sinigaglia C., cit. (pag. 146).
  9. Pinel J, cit. (pag. 213).
  10. Ramachandran V., Che cosa sappiamo della mente, Mondatori, Milano, 2004 (pag. 41)
  11. Corrispondente alla terza grande transizione di Merlin Donald, quella che porta dalla cultura mimica alla cultura teoretica.


Workshop sulla "CAUSALITÀ"

Giovedì 20 settembre 2007 alle 17:30 ho seguito presso l'Università degli Studi Roma Tre (Facoltà di Lettere e Filosofia - Aula Verra) il seminario con Achille Varzi sul tema "Mancanze, controfattuali, e causazione per omissione".

Come sempre Varzi è molto brillante e interessante.

Relazione finale su M. Donald per corso di Filosofia della Scienza

Per adempiere ai miei obblighi di dottorato, nel secondo semestre dell'anno accademico 2006-07, ho seguito il corso di Filosofia della Scienza, tenuto dalla Prof.ssa Elena Gagliasso, sul tema "Tra corpo e mente: metodologie, ideologie e origine antropica"; e alla fine ho illustrato gli altri studenti le tesi di M. Donald sull'evoluzione della mente, basandomi sul seguente schema.

Scarica il testo come documento Word compresso (zip)

Merlin Donald,

L'evoluzione della mente. Per una teoria darwininana della coscienza.

Garzanti, Milano, 2004

(titolo originale: Origins of the modern mind, President and Fellows of Harward College, 1991)


L'autore e la sua problematica

  • Merlin Donald è professore di psicologia alla Queen's University di Ontario (Canada).
  • A Mind So Rare. The evolution of Human Consciousness, W.W. Norton & Company, New York, 2001

"Da dieci anni circa è rinato, nell'ambito delle scienze cognitive, l'interesse per l'evoluzione della mente umana e con essa quella del linguaggio, sua espressione. A testimoniarlo, l'interesse e il dibattito intorno a libri come L'origine della mente moderna (1991) di Merlin Donald o L'istinto del linguaggio (1994) di Steven Pinker. […] La specie simbolica (1997) è la sintesi più compiuta di questo nuovo clima."

[Silvio Ferraresi, prefazione all'edizione italiana di T. W. Deacon, La specie simbolica, Fioriti, Roma, 2001]


"Nella maggior parte dei campi scientifici il nucleo del dibattito è costituito dalle teorie sulle origini: […] Tuttavia il problema dell'origine della mente umana non ha ancora assunto una centralità nella scienza cognitiva."

"Questo libro si propone di riflettere su quale sia lo scenario più probabile della comparsa della cognizione umana."

"L'essenza della mia ipotesi è che la mente dell'uomo attuale si sia evoluta da quella dei primati attraverso una serie di grandi adattamenti, ognuno dei quali portò alla comparsa di un nuovo sistema rappresentativo. Ciascun nuovo sistema di rappresentazioni successivo si è conservato intatto nell'architettura mentale attuale: la nostra mente è quindi un mosaico delle vestigia cognitive dei primi stadi dell'evoluzione umana. […] La nostra mente non è una tabula rasa […] La moderna struttura rappresentativa della mente umana racchiude in sé le conquiste sia di tutti i nostri progenitori ominidi sia di alcune specie di scimmie antropomorfe."

"Qui la parola chiave è rappresentazione. L'uomo non ha semplicemente sviluppato un cervello più grande, una memoria espansa, un lessico o un particolare apparato fonatorio, ma ha evoluto nuovi sistemi di rappresentazione della realtà. Durante questo processo il nostro apparato di rappresentazione ha in qualche modo intuito l'utilità di simboli e li ha inventati dal nulla: in natura non esistevano simboli cui ispirarsi."

"L'interrogativo è il seguente: come ha potuto l'uomo […] arrivare a rappresentare il proprio sapere in forma simbolica? Quali sono stati gli stadi di questo sviluppo?"

[M. Donald dal Prologo all'Evoluzione della Mente]


  • Teoria darwiniana, perché rifacendosi alle intuizioni di Darwin sull'origine del linguaggio umano vuole sostenere una tesi continuista dello sviluppo cognitivo tra uomini e altri animali. Più continuista di Deacon.
  • Successione classica degli ominidi. Pur menzionando la varietà di ominidi (talvolta compresenti) si distacca da Pievani.
  • Alcune delle struttura neuropsicologiche osservate nell'uomo attuale possono essere interpretate come il prodotto dell'evoluzione biologica e altre come l'imposizione di vincoli culturali e tecnologici sulla maturazione e sulla crescita neuropsicologica.




Quattro stadi e tre grandi transizioni

  • La mente e la cultura delle grandi scimmie antropomorfe: la cultura episodica.
    Transizione: la nascita della rappresentazione mimica
  • La mente e la cultura di Homo Erectus: la cultura mimica
    Transizione: la nascita del linguaggio simbolico
  • La mente e la cultura di Homo Sapiens: la cultura mitica
    Transizione: la nascita della scrittura
  • La mente e la cultura di Homo Sapiens che immagazzina simboli nella memoria esterna: la cultura teoretica


I primi 4 capitoli

  1. La necessità di una teoria dell'evoluzione cognitiva
    L'architettura mentale come fenomeno emergente. Cultura come prova dell'esistenza di strutture cognitive. Organizzazione del libro.
  2. La tesi darwiniana
    Continuità e discontinuità. Le teorie predarwiniane. Darwin sull'intelligenza animale. Le tesi darwiniane sull'origine del linguaggio. Malgrado le ovvie lacune delle conoscenze del tempo di Darwin sono interessanti: a) la nozione di un mutamento cognitivo prelinguistico che favorì la comparsa del linguaggio; si deve stabilire un passaggio graduale dal punto di partenza della struttura cognitiva delle antropomorfe a quella dell'uomo; b) la comparsa del linguaggio e legata alla vocalizzazione; prosodia precede fonetica; c) la comparsa del linguaggio creò nuove capacità di pensiero che dipendevano da esso. Pensiero linguistico e non-linguistico nell'uomo; d) importanza delle vestigia cognitive
  3. La macchina di Wernicke
    Modelli del linguaggio modulari e unitari. Wernicke. Fodor. Aspetti neurologici. Ipotesi sull'importanza della lateralizzazione e diversità funzionale dei due emisferi. Geschwind. Il generativismo dell'emisfero sinistro secondo Corballis. Le capacità cognitive di Frate John. Il cervello in assenza di linguaggio.
  4. Cronologia dei mutamenti anatomici e culturali
    Pietre miliari nella cronologia delle mutazioni. Come Deacon, Donald non ritiene che bipedismo, pollice opponibile, elaborato apparato vocale, e persino cervello espanso siano né necessari né sufficienti per il linguaggio. Ma un visibile cambiamento anatomico indica sempre un concomitante mutamento funzionale. Antropomorfe attuali costituiscono il punto di partenza della ricerca. Eppure le differenze sono spesso più quantitative che qualitative. Variazioni vistose del quoziente di encefalizzazione si ebbero con la comparsa di Homo Erectus e con la comparsa di Homo Sapiens, rispettivamente 2 milioni e 200.000 anni fa. Il bipedismo risale addirittura alle austalopitecine (Donald non parla, a differenza di Pievani, di andatura mista). Probabilmente già nei primi ominidi ci sono asimmetrie tra gli emisferi cerebrali. La curvatura della base cranica procede lentamente e poi si accentua molto con Homo Sapiens. Pur parlando di diverse specie di ominidi talvolta concomitanti, Donald rimane legato ad una successione filogenitica lineare con un'unica specie in un unico lasso di tempo. Quando reinterpretiamo i cambiamenti biologici e culturali alla luce di una teoria dello sviluppo cognitivo dobbiamo ritenere che il primo vero punto di svolta si ha con Homo Erectus; con lui si ha il deciso accrescimento encefalico, la prima cultura veramente umana (uso di strumenti litici sicuramente prodotti intenzionalmente, uso del fuoco, migrazioni). Homo Habils è visto come un organismo di passaggio tra austrolopicetine e Homo Erectus. Con l'avvento di Homo Sapiens si ebbe il deciso accrescimento del volume cranico, la netta discesa della laringe, la comparsa del linguaggio simbolico, il tumultuoso sviluppo di novità culturali.



Dal 5° al 8° capitolo

Rappresentano i capitoli fondamentali del libro in cui viene proposta la tesi originale di Donald.

  1. La cognizione dei primati: cultura episodica
  2. Prima transizione: dalla cultura episodica alla cultura mimica
  3. Seconda transizione: dalla cultura mimica alla cultura mitica
  4. Terza transizione: immagazzinamento di simboli nella memoria esterna e cultura teoretica

L'anatomia e la neuropsicologia sono utili nello stabilire la serie di modelli cognitivi che si sono succeduti in questa evoluzione, ma ancora più utile è la cultura che determinate specie dimostrano. Tuttavia le culture sono state spesso classificate in termini di abitudini alimentari o di territorio o in termini tecnologici, ma raramente ne è stata data una classificazione in termini di caratteristiche cognitive predominanti. Mentre Donald, partendo dall'assunto che la cultura di una determinata specie rispecchia le capacità cognitive degli individui che ne sono artefici, cerca di darne una classificazione in termini cognitivi. Fondamentale è l'etologia. La dimensione più significativa di una classificazione cognitiva della cultura è quella della strategia rappresentativa.



La cultura episodica delle scimmie antropomorfe

  • L'intelligenza delle antropomorfe è spesso sottovalutata; dimostrano facoltà intellettive ricche e differenziate; le loro prestazioni sono nettamente inferiori agli umani.
    • Non producono manufatti duraturi, ma si servono occasionalmente di strumenti.
    • Dimostrano inventiva nella risoluzione di nuovi problemi
    • La loro cultura è statica e stereotipata e con variazioni minime tra i diversi gruppi
    • Hanno una forma di 'coscienza' e autorappresentazione (scimpanzé possono riconoscersi allo specchio).
    • Percepiscono eventi e situazioni.
  • Sono in grado di una ricca comunicazione, ma
    • hanno capacità di vocalizzazione limitate;
    • non hanno impedimenti di carattere motorio o percettivo all'utilizzazione del linguaggio dei segni o di gettoni 'simbolici';
    • possono essere addestrati all'uso di segni (soprattutto ASL o gettoni 'simbolici');
    • possono apprendere e usare anche due o tre segni insieme ma non vanno oltre;
    • nella tipologia del riferimento usata da Peirce e Deacon (icone, segnali, simboli), si limitano ai primi due. [Ma Donald non usa questa classificazione];
    • mancano di capacità sintattiche e generative;
    • il loro uso del linguaggio dei segni li rende delle perfette esecutrici skinneriane;
    • non usano naturalmente segni e non sono in grado di inventarli spontaneamente.
  • Importanza della 'intelligenza sociale' (Dunbar)
  • Memoria procedurale, memoria episodica, memoria semantica (Tulving)
  • La lo cultura si può quindi definire episodica perché il loro comportamento, sebbene complesso, appare
    • non riflessivo,
    • concreto,
    • legato al contesto situazionale.
    • Con ricordi legati agli specifici contenuti percettivi di un luogo e di un tempo
  • La loro vita è vissuta interamente nel presente come una serie di episodi concreti (sembra il primo stadio dello stato di natura di Rousseau)

La prima transizione: dalla cultura episodica alla cultura mimica

  • L'anello mancante: la cultura mimica.
  • Per rintracciarla ci basiamo su 3 fonti:
    1. punto di partenza (cultura episodica)
    2. punto di arrivo (uomo biologicamente moderno)
    3. resti archeologici direttamente collegabili alle capacità cognitive dei nostri progenitori.

  • "Nel presente capitolo proporrò che una cultura arcaica ma inequivocabilmente
    umana abbia mediato la transizione dalle antropomorfe all'uomo. Questo strato
    culturale intermedio viene definito mimico sulla base del modo di
    rappresentazione predominante. Sebbene le prove al riguardo siano indirette, io le ritengo persuasive; di fatto, uno strato intermedio di cultura cognitiva è
    una necessità logica che si affaccia nel corso della costruzione di uno scenario
    credibile dell'evoluzione umana."

[M. Donald dal cap. 6° dell'Evoluzione della Mente]


  • Caratteristiche dalla cultura mimica
    • è la prima cultura inequivocabilmente umana.
    • sorge con Homo Erectus.
    • Uso di una varietà di sofisticati strumenti.
    • Espansione fuori della nicchia ecologica africana a tutto il continente eurasiatico.
    • Vaste aggregazione sociali per la cooperazione (per es. caccia)
    • Uso controllato del fuoco e cottura dei cibi
  • La cognizione umana in assenza di linguaggio
    • Utili indicazioni da:
      • bambini in età prelinguistica,
      • sordomuti analfabeti del passato,
      • caso di Frate John.
    • In questi casi è presente:
      • intenzionalità,
      • rappresentazione mimica e gestuale,
      • percezione categoriale,
      • comprensione dei rapporti sociali,
      • sofisticate capacità comunicative
  • Cultura episodica + capacità mimiche + conseguenze sociali = cultura mimica
  • Capacità mimiche:
    • Intenzionalità. (Le rappresentazioni mimiche si riferiscono a degli eventi).
    • Generatività ( possono essere scomposte e ricomposte)
    • Comunicatività (sono pubbliche e possiedono potenzialità intrinseche di comunicazione).
    • Referenzialità. (distinguono l'atto mimico dal suo referente riferimento).
    • Illimitatività. (possono modellare un numero illimitato di singoli eventi percettivi).
    • Endogenesi. (sono compiute volontariamente)
  • Mimica facciale e mimica vocale come casi particolari della capacità mimica.
    • Aumento dei muscoli facciali, aumento della capacità mimiche facciali
    • Il controllo volontario delle espressioni facciali dipende probabilmente da sensazioni propriocettive.
    • Controllo prosodico della voce come precedente logico di quello fonetico
    • Mimica vocale e facciale mezzo principale per espressioni delle emozioni
  • Conseguenze sociali:
    • Condivisione della conoscenza.
    • Modellamento di abitudini e gerarchie sociali.
    • Addestramento, giochi, e necessità di semplici forme di pedagogia
    • Coordinamento e suddivisione del lavoro.
    • Capacità di riprodurre eventi e di rappresentarne la struttura
    • Rappresentazione di sé e conseguente miglioramento del controllo motorio a livello conscio.
    • Capacità di lenta innovazione.
  • Cultura mimica:
    • fabbricazione di strumenti e uso controllato del fuoco,
    • caccia stagionale di gruppo,
    • adattamento climatico ed ecologico,
    • struttura sociale complessa,
    • prime forme di ritualità.
  • Il sistema di controllo mimico concepito come un centro di controllo superordinato, non direttamente motorio, è piuttosto un programmatore di azioni spiccatamente astratto. Ingloba, conserva, incapsula la rappresentazione episodica.
  • La rappresentazione mimica rispetto a quella simbolica è più lenta, limitata, ambigua. Ma serve a funzioni differenti ed è tuttora più efficiente per la diffusione di molti tipi di conoscenza.


La seconda transizione: dalla cultura mimica alla cultura mitica

  • Linguaggio e nascita della cultura umana
    • Tutte le popolazioni umane attuali possiedono il linguaggio verbale e una capacità semiotica altamente sviluppati.
    • Il linguaggio è predominante nella cultura umana
      • ma non è il solo mezzo di comunicazione e di pensiero;
      • non si sostituisce, ma si affianca alle capacità mimetiche;
      • in molte attività non è indispensabile.
    • La comparsa del linguaggio deve essere compreso non isolatamente ma all'interno di un adattamento culturale complessivo e di una più ampia architettura cognitiva.
  • Periodo di transizione
    • Una o due transizioni?
      • Uomo arcaico 250.000-150.000 anni fa e poi Cro-Magnon 50.000 anni fa
      • Unica transizione circa 50.000 anni fa
      • Donald propende per un'unica transizione iniziata circa 150.000 anni fa e conclusasi 50.000 anni fa.
  • Vantaggi evolutivi del linguaggio.
    • Non tanto nell'adattamento all'ambiente (IV glaciazione), ma nella competizione fra sottospecie.
    • Per capire i vantaggi evolutivi del linguaggio è utile delineare i suoi primi usi.
      • In società molto primitive tecnologicamente notiamo linguaggi altamente sofisticati.
      • Fa da arbitro sociale.
      • Facilita la coordinazione delle attività tra vari individui.
      • Serve per la concertazione di piani e per decisioni collettive.
      • E' invece di utilità limitata in molte attività pratiche, come l'industria litica in cui si impara più per imitazione.
      • Nelle società tribali, il più elevato uso del linguaggio è nell'area dell'invenzione mitica, cioè nella costruzione di "modelli" concettuali dell'universo.
        • Mito si sviluppa assieme al concetto di causalità.
        • "La mente ha esteso il proprio potere oltre la percezione episodica di eventi e oltre la ricostruzione mimica di episodi, fino a giungere a un modellamento globale dell'universo umano. Il mito costituisce un tentativo di fornire spiegazioni causali, di predire e di esercitare un'azione di controllo, e permea ogni aspetto della vita."
        • Quindi, benché utile come strumento sociale e tecnologico, il linguaggio venne utilizzato dapprincipio per la costruzione di modelli concettuali dell'universo umano; per permettere un pensiero integrato, una grande sintesi unificatrice di quelli che fino ad allora erano stati frammenti di informazione isolati.
    • "L'uomo biologicamente moderno sviluppò il linguaggio in risposta alla pressante necessità di migliorare il proprio apparato concettuale, e non viceversa."
  • I simboli linguistici arbitrari sono probabilmente derivati da un livello precedente, possono essere considerati la standardizzazione delle prestazioni mimiche, e cioè il gesto.
    • Gesti emblematici
    • Gesticolamento linguistico
  • Bruner distingue tra pensiero narrativo e pensiero paradigmatico. Quello narrativo si è sviluppato prima di quello scientifico e logico.
  • L'invenzione simbolica permette l'integrazione del repertorio eterogeneo e concreto della cultura mimica sotto il dominio della mitologia.
  • Linguaggio verbale come forma primaria dell'espressione linguistica nell'uomo; ha richiesto principalmente i seguenti adattamenti:
    • Miglioramento del meccanismo per la produzione fonologica fluente
      • controllo volontario della respirazione
      • migliore muscolatura facciale e del tratto vocale
      • discesa della laringe e glottide più elastica,
      • cambiamenti corticali per il controllo neurale di questi apparati
    • Affinamenti nel sistema uditivo
      • retroazione nella regolazione del linguaggio verbale,
      • "reificazione" dei suoni del linguaggio verbale
    • Loop articolatorio.
      • Buffer di memoria a breve termine
    • Forte accrescimento del repertorio vocale per la creazione di un ricco lessico
  • Il sistema del linguaggio comportò non solo un nuovo apparato vocale ma un sistema interamente nuovo di rappresentazione della realtà
    • Il pensiero narrativo produce commenti orali-verbali su esperienze così come il sistema mimico produce rappresentazioni di azioni
    • È diventato il sistema di controllo superiore che incapsula quello mimico ed episodico ma non è esso stesso incapsulato.

La terza transizione: immagazzinamento dei simboli nella memoria esterna e cultura teoretica

  • La terza transizione è molto recente. Con essa si sviluppano caratteristiche che sembrano essere assenti nelle culture precedenti:
    • L'invenzione grafica
      • Variazione dell'importanza relativa di vista e udito.
    • La memoria esterna
      • Passaggio dall'immagazzinamento interno a quello esterno.
      • La nuova cultura ha un'esistenza esterna alla mente biologica dell'individuo.
    • La costruzione di teorie.
      • Inizio dello sviluppo del pensiero teoretico-scientifico, che ha sempre come primo passo un carattere antimitico. Le argomentazioni formali, la tassonomia sistematica, l'induzione, la deduzione, la verifica, la quantificazione, la teorizzazione sono tutti frutti dell'invenzione visuografica.
      • Predominio del pensiero analitico-paradigmatico su quello narrativo (Bruner)
  • A differenza delle prime due transizioni che dipesero da un cambiamento biologico, la terza transizione dipese da un cambiamento tecnologico.
  • L'invenzione visuografica (uso dei simboli grafici)
    • si sviluppò con un certo gradualismo in un ambiente culturale prevalentemente mitico.
      • Pittura corporale
      • Manufatti decorati
      • Disposizione intenzionale di oggetti
      • Incisione di rappresentazioni bidimensionali e tridimensionali su osso, legno avorio. Caverne decorate dell'età glaciale.
      • Scrittura
    • Può avere tre modalità
      • iconica
      • ideografica
      • fonologica
  • Caverne dipinte
    • non erano utilizzate come abitazioni ma come centri cerimoniali
    • temi fondamentali: caccia e fertilità (contiguità congruenza con pensiero mitico)
    • dimostrano notevole competenza tecnica
  • La scrittura
    • Nasce per scopi pratici: commercio
    • Il cuneiforme nasce come pittografico e senza sintassi; diventa fonetico e con segni grammaticali e sintassi.
    • I geroglifici egizi erano fonetici molto prima che il cuneiforme lo diventasse. Anche i geroglifici nascono da standardizzazione di icone. Complicatissimi indicatori di funzioni, convenzione di genere, specificazioni grammaticali, ecc.. Funzionano spesso con il principio del rebus (dal segno al significato e da questo al suono)
    • Scrivere non significava produrre graficamente una eco del linguaggio verbale ma rappresentare direttamente le idee. Il compito degli scribi non era necessariamente quello di rendere il suono in forma grafica. Le moderne scritture nascondono l'indipendenza tra le due forme di rappresentazione.
    • La tecnologia della scrittura (sia cuneiforme, sia geroglifica, sia ideografica) era all'inizio molto complessa.
      • Scribi
        • piccolissima minoranza
        • Capaci di avere e gestire nella memoria biologica molte nozioni per l'uso di quella esterna.
        • Il 15 % delle tavolette cuneiformi ritrovate contengono elenchi lessicali di esercitazione per gli scribi.
      • Leggere significava interpretare, ricostruire,indovinare il modello mentale di chi aveva scritto.
    • Importanza degli elenchi alla base dello sviluppo del pensiero teoretico. Gli elenchi funzionano molto meglio per iscritto che verbalmente.
    • Con l'alfabeto si ha un'enorme semplificazione e si crea uno stretto rapporto tra ciò che viene detto e ciò che viene scritto
  • Dispositivi della memoria esterna
    • Nella moderna cultura umana, coloro che svolgono attività intellettuale impiegano quasi sempre materiale simbolico esterno.
    • L'importanza dell'educazione e ella pedagogia nel formare individui in grado di usare l'enorme memoria esterna.
  • "Nessuna spiegazione della capacità umana di pensiero che ignori la simbiosi tra memoria biologica e memoria esterna può essere considerata soddisfacente."

1 Rapporto di Ricerca – maggio 2007

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Abstract

La mia ricerca intende analizzare il concetto di rappresentazione mentale e mostrare come questo concetto così centrale nella stragrande maggioranza delle concezioni di filosofia della mente debba subire un profondo ripensamento che ne limiti l'ubiquità e ne ridefinisca la natura. Varie indagini nel campo della nuova scienza cognitiva ci spingono a ritenere che un agente razionale possa operare nel proprio ambiente senza ricorrere a rappresentazioni interne degli oggetti circostanti, collegando direttamente gli input sensoriali agli output motori; oppure che possa portare a termine delle attività cognitive non elaborando rappresentazioni interne ma manipolando dei veicoli esterni al proprio cervello; o ancora che l'attività percettiva sia fortemente collegata all'attività motoria ed elaborativa e quindi non abbiano senso le tradizionali divisioni tra conoscenza e azione e tra percezione e riflessione (sulle rappresentazioni); infine che anche quando si continui ad utilizzare le rappresentazioni interne esse siano spesso distribuite e non simboliche.

La mente e la conoscenza devono sempre essere incorporate e integrate nell'ambiente fisico e sociale; il concetto di rappresentazione mentale deve subire contemporaneamente un restringimento e un'estensione superando il tradizionale confine costituito dal cranio dell'individuo biologico.

In questo rapporto, dopo aver fornito un quadro di sfondo nel quale collocare la mia ricerca, indicherò le principali linee di indagine che sto seguendo. Poi elencherò le attività svolte in questi primi mesi; e infine, nell'appendice, darò una breve sintesi dell'attuale dibattito sulla mente estesa che costituisce l'argomento della ricerca che ho approfondito più diffusamente.


La ricerca

Premessa

Nelle indagini sulla mente è sempre bene tener presente che ci troviamo di fronte ad un concetto non univocamente definito e pesantemente condizionato dalla cultura in cui, nel corso del tempo, è stato via via pensato1. E' indubbio che all'interno della cultura occidentale, un momento fondamentale per la definizione di tale concetto sia rappresentato dalla riflessione filosofica seicentesca.

Con le sue nette affermazioni, Cartesio contribuisce più di ogni altro a costruire la mente come incorporea, interna, qualitativa, cosciente, trasparente a sé stessa, privata, insindacabile, libera, fonte di tutte le nostre azioni e palcoscenico2 su cui vengono rappresentate tutte le nostre sensazioni. Malgrado i noti problemi del rapporto tra sostanza mentale e sostanza corporea, tale concezione del mentale ha seguitato ad avere un peso predominante nella speculazione successiva. All'interno della corrente empirista, viene mantenuta la separazione tra riflessione e sensazione, intenzione e azione, così come la visione della mente come luogo centrale del ragionamento in cui vengono elaborate le idee.

Malgrado il deciso rifiuto del dualismo cartesiano e l'indiscutibile professione di fede materialista, anche all'interno della posizione più diffusa della scienza cognitiva contemporanea – la teoria computazional-rappresentativa della mente – si possono rintracciare tracce di questo 'peccato originale' della mente moderna e un certo 'strabismo' antibiologico e solipsistico,3 che tende a isolare la mente dal corpo e dal mondo, e limita l'elaborazione cognitiva al cuneo tra percezione e azione in una sorta di 'sandwich cognitivo'4. L'idea che la relazione tra mente e mondo sia mediata da oggetti interni dotati di proprietà semantiche e causali seguita ad essere un'idea centrale nella scienza cognitiva classica così come lo era nella tradizione empirista dell'età moderna; anche se a queste relazioni causali viene ora attribuita una natura computazionale piuttosto che associativa grazie alle loro caratteristiche sintattiche e simboliche5.

La concezione computazional-rappresentativa della mente ha rappresentato il filone di indagine più influente e produttivo negli anni '70-'80 del secolo scorso, ma agli inizi degli anni '90 tale paradigma – e l'analogia tra mente/cervello e software/hardware su cui in larga parte si basa – ha iniziato a mostrare i suoi limiti, tanto è vero che Thagard 6 ha potuto parlare di una serie di nuove sfide al cognitivismo classico poiché ci sarebbero molti aspetti di cui non tiene sufficientemente conto, aprendo così un dibattito sulla possibilità che tale paradigma riesca a superarle attuando una semplice riforma oppure sia necessaria una vera e propria rivoluzione. Le sfide indicate da Thagard sono:

  1. la sfida del cervello
  2. la sfida delle emozioni
  3. la sfida della coscienza
  4. la sfida del corpo
  5. la sfida del mondo
  6. la sfida dei sistemi dinamici
  7. la sfida sociale.


1 Cfr. Carlo Cellucci, "Mente incarnata e conoscenza", in Eugenio Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente, Olschki, Firenze 2005, pp. 383-410. O anche Michele Di Francesco, Introduzione alla filosofia della mente, Carocci, Roma, 2002

2 Teatro Cartesiano in Daniel Dennett, Coscienza, Rizzoli, Milano, 1993, (pagg. 129-134)

3 Jerry Fodor, "Methodological solipsism considered as a research strategy in cognitive psychology", Behavioral and Brain Sciences, 1980, 3, pp. 63-110

4 Susan Hurley, Consciousness in Action, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1998

5 Massimo Marraffa, Filosofia della psicologia, Laterza, Bari, 2003. (pag. 3)

6 Paul Thagard, Mind. Introduction to Cognitive Science (2nd ed.), The MIT Press, 2005 (pag. 140)


Linee di ricerca

Sullo sfondo della problematica e delle trasformazioni delineate, intendo concentrarmi sul concetto di rappresentazione mentale e sulla dicotomia interno/esterno nei processi cognitivi.

Come già affermato, quello di rappresentazione mentale è un concetto centrale nella stragrande maggioranza delle concezioni di filosofia della mente. Semplificando, sembra del tutto ragionevole che per poter conoscere, riflettere e agire nel mondo qualunque soggetto debba costruirsi un modello interno del mondo esterno; che tale modello sia composto di rappresentazioni mentali degli oggetti del mondo; che la riflessione sia un'elaborazione esercitata su tali rappresentazioni interne. Eppure è lecito sostenere che alla base di questo concetto ci siano delle difficoltà logiche ed empiriche che ne minano profondamente la solidità e che spingono la nuova scienza cognitiva a riformularne la natura e a limitarne fortemente l'ubiquità.

In primo luogo, non appare più così scontato che il cervello implementi le rappresentazioni mentali in modo simbolico. Il connessionismo ritiene che le rappresentazioni mentali siano implementate in modo distribuito su più unità-neuroni e che talvolta sia possibile far corrispondere ad ogni unità-neurone implicata un tratto determinato dell'oggetto rappresentato (rappresentazione distribuita simbolica), ma che altre volte tale corrispondenza non possa essere stabilita (rappresentazione distribuita sub-simbolica)7.

Per la robotica basata sul comportamento (behavior-based robotics)8, poi, è possibile costruire degli agenti che mostrano un comportamento intelligente senza far ricorso a esplicite rappresentazioni interne del mondo in cui si muovono. Tali agenti si basano su un'architettura (Subsumption Architecture) che implementa livelli via via più complessi uno sull'altro. Ogni livello è quasi completamente autonomo rispetto agli altri e genera un comportamento particolare collegando direttamente la percezione all'azione senza dover passare attraverso un elaboratore centrale. Che tali agenti siano davvero privi di rappresentazioni è stato messo in dubbio da alcuni critici della nuova robotica, infatti Toto9, uno degli agenti più sofisticati costruiti nell'Artificial Intelligence Laboratory del MIT, riesce a pianificare i suoi movimenti servendosi di una mappa interna dell'ambiente in cui opera; ma tale mappa è distribuita e costruita in base agli spostamenti precedenti, e non è possibile fare una distinzione tra la mappa e l'uso della mappa, tra il ragionamento e la mappa stessa; è lecito quindi affermare che sebbene ci sia una qualche forma di rappresentazione essa non è autonoma, isolabile e esplicita. L'intelligenza di tali robot, poi, è per il momento molto limitata – Brooks parla di un'intelligenza paragonabile a quella di un insetto – e resta una questione aperta fino a che grado di complessità sia possibile spingere tale architettura senza dover ricorrere a esplicite rappresentazioni interne.

Ma è nel termine stesso di 'rappresentazione' che si celano le ambiguità più insidiose. Infatti sembrerebbe che una rappresentazione sia una ri-presentazione all'interno della mente di qualcosa che è già presente ai sensi. Ma ripresentare a chi? E, poi, se qualcosa è già presente, che bisogno c'è di ripresentarlo? Dennett con la sua critica al Teatro Cartesiano10 ci dissuade dal pensare che esista un homunculus centrale a cui tutti i dati sensoriali vengano ri-presentati e ci invita invece a pensare a una pluralità di agenti elementari, ognuno dei quali riceve ed elabora un singolo aspetto di essi; tali agenti possono essere molto semplici, quasi indipendenti tra loro e svolgere i loro compiti alla maniera dei robot di Brooks. Per limitarsi alla sola visione, il fatto che nella corteccia cerebrale dei macachi siano state scoperte finora ben 31 aree visive ognuna specializzata nell'analisi di un diverso stimolo visivo11 dovrà pur significare qualcosa!

Ma sono le stesse separazioni tra sensazione e riflessione e tra conoscenza e azione che la scienza cognitiva classica eredita dall'empirismo seicentesco che devono essere messe in discussione. Il nostro sistema percettivo, infatti, non riproduce copie fedeli degli oggetti esterni che colpiscono i nostri sensi a beneficio di una successiva elaborazione, ma è esso stesso un sistema elaborativo che trascura alcuni aspetti dei dati e ne esalta degli altri svolgendo un'attività intrinsecamente creativa12. Inoltre, anche nella semplice conoscenza, un soggetto può svolgere delle azioni, delle manipolazioni degli oggetti nel suo ambiente, per portare a termine dei compiti cognitivi che sarebbero altrimenti impossibili o soltanto più difficili; egli svolge cioè delle 'azioni epistemiche'13. A tale proposito mi sono sembrati molto significativi: a) la ricerca di Kirsh e Maglio sulle modalità del gioco del Tetris14, che evidenzia come molti movimenti dei pezzi vengono effettuate non per realizzare effettivamente un posizionamento finale di essi (azione pragmatica), ma per conoscerne la natura o la posizione (azione epistemica); b) gli esperimenti di O'Regan e Noë sulla cecità al cambiamento (change blindness) e la loro teoria sullo natura essenzialmente sensori-motoria dell'esperienza visiva15 c) i già menzionati lavori di Brooks16 sulla costruzione di agenti intelligenti privi di rappresentazioni. Tutto ciò ci spinge a limitare il ricorso a immagini mentali nella spiegazione dell'attività cognitiva umana e a integrare in essa l'apparato sensori-motorio. La necessità di 'scaricare' ogni homuncolus dotato di qualche intelligenza residua sostituendolo con esecutori stupidi17 e considerazioni di economia computazionale sembrano consigliare di interrompere il processo di 'ripresentazione' il più presto possibile, e cioè al primo stadio della relazione tra soggetto e oggetti nel mondo. Per questi motivi i modelli dell'attività cognitiva che non tengono in giusto conto sia l'elaborazione che si svolge già a livello percettivo, sia la possibilità che il soggetto non si costruisca un rappresentazione interna degli oggetti esterni ma operi direttamente su essi, sia la stretta connessione tra la conoscenza e l'azione, danno una visione distorta del funzionamento della mente.

Queste ultime considerazioni mi hanno spinto a passare dalla riflessione sul concetto di rappresentazione a quella sul concetto di mente incorporata e di mente estesa.

Ovviamente anche i teorici della teoria computazional-rappresentativa della mente possono accettare tranquillamente che in ultima analisi la mente sia incorporata, che il soggetto interagisca in vario modo con l'ambiente, che gli aspetti sensoriali siano importanti; ma il modello cognitivo su cui si basano (Sensazione → Modello → Pianificazione → Azione) e il loro concentrarsi sulla fase interna della costruzione del modello e della pianificazione, tendono a trascurare la centralità dell'azione e della sensazione nella pianificazione stessa.

Secondo i sostenitori della tesi della mente estesa18, la mente non è limitata dalla pelle e dal cranio, poiché in varie attività cognitive l'organismo umano è collegato con entità esterne in modo tale da creare un sistema accoppiato che può essere considerato un sistema cognitivo a tutti gli effetti. In un sistema del genere, tutte le componenti, sia interne che esterne, giocano un ruolo causale attivo e controllano collettivamente il comportamento. Rimuovendo una componente esterna, si avrà un decadimento delle competenze comportamentali del sistema, in modo non dissimile da quando si rimuove una parte del cervello. "Se, nello svolgere un determinato compito, una parte del mondo funziona come un processo, che se avvenisse nella testa, non avremmo esitazione a riconoscerlo come parte del processo cognitivo, allora quella parte del mondo è parte del processo cognitivo. I processi cognitivi non sono (tutti) nella testa!"19.

Il dibattito sulla tesi della mente estesa si concentra soprattutto sulla possibilità o meno di ritenere intrinsecamente cognitivi i processi e i veicoli esterni all'individuo biologico, e in particolare sulla possibilità che esistano delle genuine credenze dei soggetti che risiedono non su supporti cerebrali ma su supporti esterni. Ma al di là di questo problema che rischia di diventare una questione puramente essenzialista, il punto importante che i sostenitori espliciti o impliciti20 della tesi della mente estesa ci spingono a riconoscere è che nel corso dell'evoluzione gli esseri umani così come hanno imparato ad usare strumenti esterni per ampliare le loro capacità motorie, hanno anche imparato ad usare dei supporti esterni per ampliare le loro capacità cognitive. I supporti cognitivi, le tecnologie cognitive, i mind scaffoldings, che più spesso vengono citati sono il linguaggio, la scrittura, i disegni e i diagrammi, le notazioni e gli algoritmi matematici. Credo sia corretto ritenere che queste tecnologie cognitive abbiano creato un tipo di mente completamente nuovo e che quindi la mente umana attuale non sia semplicemente quella del homo sapiens prelinguistica + linguaggio + scrittura, + ecc., ma un nuovo sistema cognitivo che eredita ma supera i modelli cognitivi precedenti.

Quindi, escludere dal campo della nostra cognizione tutta una serie di risorse che abbiamo imparato ad usare semplicemente perché il loro significato non sarebbe intrinsecamente intenzionale ma stabilito in modo convenzionale sembra davvero una testardaggine che restringe in modo esagerato le operazioni cognitive che possiamo svolgere e sembra che abbia davvero ragione Donald quando afferma che "Nessuna spiegazione della capacità umana di pensiero che ignori la simbiosi tra memoria biologica e memoria esterna può essere considerata soddisfacente."21

Mi sono così trovato a dedicare una certa attenzione anche alle tematiche molto suggestive ma altamente congetturali dell'evoluzione cognitiva; benché questi aspetti non rientreranno nella mia tesi finale di dottorato.

Nei prossimi mesi intendo, da una parte, continuare a dare maggiore solidità e sistematicità alle mie conoscenze (in primo luogo, approfondendo il tema dell'implementazione connessionista delle rappresentazioni e lo studio dei testi classici della teoria computazional-rappresentativa della mente), dall'altra, portando avanti l'indagine sulle questioni già toccate.

Mi sembra interessante, per esempio, riprendere la posizione 'integrazionista' che secondo Menary costituisce un ampliamento della tesi della mente estesa ed approfondire e sviluppare meglio la classificazione, da lui proposta22, dei vari tipi di manipolazione dei supporti cognitivi esterni che un soggetto può compiere. I casi di manipolazioni più diffusi sono: a) quelli che intaccano il confine biologico tra individuo e ambiente (un po' come sostiene Dawkins23 parlando di fenotipo esteso; le ricerche più interessanti sono l'approccio ecologico alla visione di Gibson24, la visione animata di Ballard25, la spiegazione dell'esperienza visiva in termini sensori-motori di O'Reagan e Noë26); b) quelli in cui il soggetto usa l'ambiente come propria rappresentazione, evitando il bisogno di rappresentazioni interne (le azioni epistemiche di cui parlano Kirsh & Maglio27, le varie formulazioni di Clark28, gli agenti intelligenti senza rappresentazioni di Brooks29); c) quelli su rappresentazioni simboliche esterne che si svolgono seguendo un procedimento appreso (le pratiche cognitive, l'uso di sistemi di notazione, di cui forse gli esempi più conosciuti sono gli algoritmi matematici di cui parlano Rumelhart & McClelland30 o Cellucci31).

7 Rumelhart D. E e McClelland J.L.(eds.), Parallel Distributed Processing, MIT Press, Cambridge, 1986, (cap. 3 e 6) oppure Massimo Marraffa, Filosofia della psicologia, Laterza, Bari, 2003 (pag. 119-122).

8 Brooks R. A., Cambrian Intelligence. The Early History of the New AI, The MIT Press, 1999

9 Brooks R. A. e Mataric M., "Learning a Distributed Map Representation Based on Navigation Behavior" che ora costituisce il capitolo 3 di Cambrian Intelligence.

10 Daniel Dennett, cit.

11 Pinel J., Psicobiologia, Il Mulino, Bologna, 2000 (pag. 156)

12 Pinel J, cit. (pag. 116).

13 Vedi Kirsh D. e Maglio P., "On Distinguishing Epistemic from Pragmatic Action", Cognitive Science, 18, 1994, pagg. 513-549.

14 Kirsh D. e Maglio P., cit.

15 O'Regan K. e Noë A., "A sensorimotor account of vision and visual consciousness", in Behavioral and Brain Sciences, n. 24, (939-1031), 2001

16 Brooks, cit.

17 Cfr. Daniel Dennett, Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Bradford Books, MIT, 2005 (pag. 70)

18 Ho fornito in Appendice una breve sintesi dell'attuale dibattito sulla tesi della mente estesa.

19 Clark, A. e Chalmers, D. J. , "The Extended Mind", Analysis 58, 1, 1998, pagg.7-19. (pag. 11)

20 Tra i sostenitori espliciti della mente estesa possiamo annoverare Clark, Wilson, Hurley, Menary; tra quelli impliciti Dennett, Donald, Cellucci, Hutchins

21 Donald, M., L'evoluzione della mente. Per una teoria darwiniana della conoscenza, Garzanti, Milano, 1996 (pag. 414)

22 Menary, R., "Attacking the Bounds of Cognition", Philosophical Psychology, Vol 19, n.3. 329-344 (2006); oppure vedere la mia breve sintesi nell'Appendice.

23 Dawkins, R., The extended phenotype, Oxford University Press, Oxford, 1982.

24 Gibson, J. J., The ecological approach to visual perception, Houghton Mifflin, Boston, 1979

25 Ballard, D., "Animate Vision", Artificial Intelligence
48, 1991, 57-86,

26 O'Regan K. e Noë A., cit.

27 Kirsh D. e Maglio P., cit.

28 Clark, A. & Chalmers, D. J. cit. Clark, A., Being There. Putting Brain, Body, and World Together Again, Mit Press. 1997. Clark, A., Natural-Born Cyborgs. Minds, Technologies, and the Future of Human Intelligence, Oxford University Press, 2003.

29 Brooks, cit.

30 Rumelhart D. E e McClelland J.L.(eds.), cit.

31 Carlo Cellucci, cit.



Attività svolte

Libri e articoli letti

  • ADAMS, Fred e AIZAWA, Ken, "Defending the Bounds of Cognition", in Richard Menary (ed.) The Extended Mind, Ashgate, in corso di pubblicazione.
  • ADAMS, Fred e AIZAWA, Ken, "The Bounds of Cognition", Philosophical Psychology, Vol 14, 1. 43-64 (2001).
  • BROOKS, Rodney, Cambrian Intelligence. The Early History of the New AI, MIT Press, 1999.
  • CELLUCCI Carlo, "Mente incarnata e conoscenza", in Eugenio Canone (ed.), Per una storia del concetto di mente, Olschki, Firenze 2005, pp. 383-410.
  • CHURCHLAND Patricia Smith, Neurophilosophy. Toward a Unified Science of the Mind/Brain, MIT Press, 1989.
  • CLARK, Andy & CHALMERS, David J., "The Extended Mind", Analysis 58: 1: 1998 p.7-19
  • CLARK, Andy, Being There. Putting Brain, Body, and World Together Again, Mit Press, 1997.
  • CLARK, Andy, Natural-Born Cyborgs. Minds, Technologies, and the Future of Human Intelligence, Oxford University Press, 2003
  • CLARK, Andy, "Memento's Revenge: The Extended Mind, Extended", in Richard Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, in corso di pubblicazione
  • DEACON Terrence, La specie simbolica. Coevoluzione di linguaggio e cervello, Fioriti, Roma, 2001
  • DENNETT Daniel C, Sweet Dreams. Philosophical Obstacles to a Science of Consciousness, Bradford Books, MIT, 2005
  • DENNETT, Daniel C., "Making Tools for Thinking", in Dan Sperber (ed.), Metarepresentations: A Multidisciplinary Perspective, Oxford US, 2000
  • DI FRANCESCO Michele, "«Mi ritorni in mente». Mente distribuita e unità del soggetto" in Networks, 3-4 2004, pp. 115-13
  • DONALD, Merlin, L'evoluzione della mente. Per una teoria darwiniana della conoscenza, Garzanti, Milano, 1996
  • HURLEY, Susan., "Varieties of externalism", in Richard Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, in corso di pubblicazione.
  • KIRSH David e MAGLIO Paul, "On Distinguishing Epistemic from Pragmatic Action", Cognitive Science, 18, 513-549 (1994)
  • MARCONI Diego, "Contro la mente estesa", in Sistemi intelligenti, n.: 3, dicembre 2005
  • MARRAFFA Massimo, Filosofia della psicologia, Bari, Laterza, 2003
  • MENARY, Richard, "Attacking the Bounds of Cognition", Philosophical Psychology, Vol 19, n.3. 329-344 (2006)
  • NORMAN, Donald A., Il computer invisibile, Apogeo, Milano, 2005
  • OLIVERIO Alberto, "La mente estesa e le neuroscienze", in Sistemi intelligenti, n.: 3, dicembre 2005
  • O'REGAN Kevin & NOË Alva, "A sensorimotor account of vision and visual consciousness", in Behavioral and Brain Sciences, n. 24, (939-1031) 2001
  • PIEVANI Telmo, Homo sapiens e altre catastrofi. Per un'archeologia della globalizzazione, Roma, Meltemi, 2006
  • PINEL John, Psicobiologia, Il Mulino, Bologna, 2000
  • RAMACHANDRAN Vilayanur, Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano, 2004
  • RUPERT, R., "Representation in Extended Cognitive Systems: Does the Scaffolding of Language Extend the Mind?", in Richard Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, in corso di pubblicazione.
  • WILSON, Robert A. & CLARK, Andy, "How to Situate Cognition: Letting Nature Take its Course", in M. Aydede and P. Robbins (editors), The Cambridge Handbook of Situated Cognition, in corso di pubblicazione
  • WILSON, Robert, "Meaning Making and the Mind of the Externalist", in Richard Menary (ed.), The Extended Mind, Ashgate, in corso di pubblicazione



Lezioni, conferenze, seminari a cui ho partecipato

25 maggio 2007 Lezione di Daniel Innerarity su "La società invisibile" a Villa Mirafiori.

24 maggio 2007 Lezione di Giuseppe Veltri su "Le teorie politiche di Simone Luzzatto" a Villa Mirafiori.

11 maggio 2007 Seminario con Diego Marconi su "Seconda natura?" all'interno del ciclo "Naturalismo e natura umana" organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Roma Tre

2 maggio 2007 Lezione di Roberto Cordeschi su "Il metodo dei modelli tra Scienza Cognitiva e Intelligenza Artificiale" all'interno del ciclo "Mente-corpo e comportamento nella storia del pensiero moderno, da Darwin alla scienza cognitiva del XX secolo", organizzato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata".

20 aprile 2007 Seminario con Carlo Cellucci su "Origine, scopi e natura della conoscenza" all'interno del ciclo "Naturalismo e natura umana" organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Roma Tre

17 aprile 2007 Conferenza di Edoardo Boncinelli su "Mente biologica e mente culturale" all'interno del ciclo "Incontri Al Chiostro" della Facoltà di Ingegneria.

23 marzo 2007 Seminario con Simone Gozzano su "Le condizioni di naturalità della natura umana" all'interno del ciclo "Naturalismo e natura umana" organizzato dal Dipartimento di Filosofia dell'Università Roma Tre

18 marzo 2007 Dibattito su "Che cosa sono i numeri? La filosofia della matematica" con Umberto Bottazzini, Carlo Cellucci, Giulio Giorello, Gabriele Lolli, Paolo Zellini e Armando Massarenti all'interno del Festival della Matematica

17 marzo 2007 Lectio Magistralis di Michael Atiyah su "Bellezza e verità in Matematica" all'interno del Festival della Matematica

17 marzo 2007 Lectio Magistralis di John Barrow "Questioni matematiche e teologiche" all'interno del Festival della Matematica

16 marzo 2007 Lectio Magistralis di Douglas Hofstadter su "Come un matematico concepisce i numeri" all'interno del Festival della Matematica

12 marzo 2007 Conferenza di Douglas Hofstadter su "I am a strange loop" all'interno del ciclo "Incontri Al Chiostro" della Facoltà di Ingegneria

6 marzo 2007 Lezione di Dieter Lohmar su "A History of the Ego. The concept of an originary Ego in Husserls late manuscripts (C-Manuscripts)" a Villa Mirafiori.

15 febbraio 2007 Seminario con Vittorio Gallese su "La simulazione incarnata: dai neuroni specchio all'intersoggettività" Villa Mirafiori.

20 gennaio 2007 Dibattito su "La natura del linguaggio. Cervello e ambiente" con Felice Cimatti, Norbert Hornstein, Edoardo Lombardi-Vallauri, Andrea Moro e Francesco Ferretti nell'ambito del Festival della Scienza.

18 gennaio 2007 Dibattito su "La Nascita e le età della mente" con Gary Marcus, Stanislas Dehaene, Fabrizio Doricchi e Alberto Oliverio nell'ambito del Festival della Scienza.

18 gennaio 2007 Lectio Magistralis di Stanislas Dehaene dal titolo "La Mente intima" nell'ambito del Festival della Scienza.

17 gennaio 2007 Dibattito su "Una mente o molte menti? Architettura della mente e sviluppo cognitivo" con Alfonso Caramazza, Howard Gardner, Annette Karmiloff-Smith, Domenico Parisi, Elizabeth Spelke e Roberto Cordeschi nell'ambito del Festival della Scienza.

16 gennaio 2007 Lectio Magistralis di Alfonso Caramazza su "Parole e cervello" nell'ambito del Festival della Scienza.



Corsi seguiti

  • Filosofia della Scienza

A partire dal 14 marzo 2007 ho seguito il secondo modulo del corso annuale della Prof.ssa Elena Gagliasso sul tema Tra corpo e mente: metodologie, ideologie e origine antropica, per il quale sono previsti 6 crediti.

Alla fine del corso ho svolto una breve relazione sulla teoria evoluzionistica della mente di Merlin Donald


  • Psicobiologia e Neuroscienze

A partire dal 2 marzo 2007 ho seguito il corso semestrale del Prof. Alfredo Brancucci sul tema Introduzione alle neuroscienze, per il quale sono previsti 6 crediti.

Alla fine del corso ho presentato un breve elaborato sull'interesse filosofico della scoperta dei neuroni specchio.



Il dibattito sulla tesi della mente estesa


Andy Clark e David Chalmers, con la domanda posta all'inizio del loro articolo su Analysis (Clark & Chalmers, 1998) - "Dove finisce la mente e inizia il resto del mondo?" - aprono l'attuale dibattito sulla tesi della mente estesa.

Distaccandosi dalla posizione del senso comune e di gran parte della psicologia cognitiva, Clark e Chalmers sostengono che la mente non è limitata dalla pelle e dal cranio, poiché in varie attività cognitive l'organismo umano è collegato con entità esterne in modo tale da creare un sistema accoppiato che può essere considerato un sistema cognitivo a tutti gli effetti. In un sistema del genere, tutte le componenti, sia interne che esterne, giocano un ruolo causale attivo e controllano collettivamente il comportamento. Rimuovendo una componente esterna, si avrà un decadimento delle competenze comportamentali del sistema, in modo non dissimile da quando si rimuove una parte del cervello.

Clark e Chalmers cercano di forzare le nostre tradizionali intuizioni proponendo quello che, nel dibattito successivo, è stato chiamato il Principio di Parità, e presentandoci due casi di studio.

Il Principio di Parità afferma: "Se, nello svolgere un determinato compito, una parte del mondo funziona come un processo, che se avvenisse nella testa, non avremmo esitazione a riconoscerlo come parte del processo cognitivo, allora quella parte del mondo è parte del processo cognitivo. I processi cognitivi non sono (tutti) nella testa!".

I due casi di studio sono quelli del gioco del Tetris e quello di Otto e Inga.

Nel primo caso di studio, si prendono in considerazione vari modi in cui un uomo che gioca a Tetris potrebbe (in futuro) stabilire se un pezzo si inserisce o meno in uno slot. Egli potrebbe:

  1. ruotare mentalmente il pezzo;
  2. servirsi di un tasto che fa ruotare il pezzo sullo schermo del computer;
  3. servirsi di un impianto neurale che realizza la stessa rotazione del caso b) ma è 'attivato dal pensiero' e visualizzato sulla propria retina.

Secondo Clark e Chalmers ci troviamo di fronte a tre attività cognitive simili; la prima è chiaramente interna, la seconda esterna, e la terza benché realizzi un processo simile alla seconda sembra interno del soggetto. Nell'analisi di questo caso, Clark e Chalmers si servono della interessante distinzione tra azioni pragmatiche e azioni epistemiche proposta da Kirsh e Maglio (1994).

Nel secondo caso di studio, ci vengono presentate due persone - Inga e Otto - che avendo sentito di un'interessante esibizione al MOMA, decidono di recarvisi. Inga riflette un attimo, si ricorda che il MOMA è nella 53ma strada, e si incammina. Otto, che soffre di una leggera forma di Alzheimer e ha preso l'abitudine di annotare tutte le informazioni utili su di un taccuino che porta sempre con sé, consulta il suo taccuino, recupera l'informazione che il MOMA è nella 53ma strada, e si incammina.

Secondo Clark e Chalmers i processi cognitivi delle due persone sono molto simili; come Inga, Otto si incammina verso la 53ma strada, perché vuole andare al museo e crede che sia nella 53ma strada (anche prima di consultare il suo taccuino, a meno che non si considerino vere credenze solo quelle che si hanno sull'istante, ma allora anche Inga non credeva che il MOMA fosse nella 53ma strada prima di recuperare questa informazione dalla sua memoria!). Le credenze a lungo termine di Otto non sono tutte nella sua testa.

Le risorse non biologiche per essere incluse nel sistema cognitivo di un individuo devono essere: a) costantemente disponibili e normalmente usate; b) direttamente accessibili senza difficoltà; c) immediatamente accettate (non sottoposte a scrutinio critico sul momento, ma solo quando vengono 'annotate'),

Clark e Chalmers chiamano la loro posizione "esternalismo attivo" (Active Externalism) per distinguerlo da quello standard proposto da Putnam (1975) e Burge (1979), e affermano di essere stati influenzati da recenti ricerche in campi molto diversi come la teoria della conoscenza situata, gli studi sulla robotica nel mondo reale, gli approcci dinamici allo sviluppo infantile e le ricerche sulle proprietà cognitive degli agenti collettivi.

Altre forme di esternalismo simile a quello proposto da Clark e Chalmers potrebbero essere quello di Wilson (1994), Dennett (1996, 2000), Hutchins (1995), Donald (1996) e ancora più simili il locational externalism (Wilson 2000, 2004), l'environmentalism (Rowlands, 1999), il vehicle externalism (Hurley, 1998), la cognitive integration di Menary (in corso di pubblicazione) .

I principali oppositori della tesi della mente estesa sono Fred Adams e Ken Aizawa (2001, in corso di pubblicazione), Robert Rupert (in corso di pubblicazione); e in Italia, Alberto Oliverio (2005), Diego Marconi (2005) e Michele Di Francesco (2004).

I motivi principali di opposizione alla tesi della mente estesa vengono delineati con chiarezza da Adams e Aizawa (2001), e a loro spesso si riferiscono sia coloro che vogliono sostenere sia coloro che vogliono combattere l'idea che la mente non sia tutta nella testa.

Adams e Aizawa vogliono difendere la posizione tradizionale sui confini della mente e pur ammettendo che spesso strumenti e processi esterni possono essere utili per facilitare i nostri compiti cognitivi, questo non ci autorizza a estendere il campo del mentale al di là dei confini dell'individuo biologico. Adams e Aizawa vogliono sostenere quello che definiscono un "contingent intracranialism"; concedono che non si possa identificare a priori ciò che mentale con ciò che è interno al cervello, ma una volta definito il tratto distintivo del mentale ci si accorge che - come fatto empirico contingente - tutti i processi cognitivi umani risultano interni al cervello. Una cognizione transcranica o extracranica è logicamente possibile, ma le possibilità che qualche strumento esterno acquisti le proprietà cognitive dei nostri cervelli risultano – in base alle nostre conoscenze attuali - piuttosto remote.

Assumendo, senza argomentare, che il mentale sia differente dal cognitivo e che i processi cognitivi possono essere accompagnati da qualità fenomeniche soggettive, Adams e Aizawa restringono la loro analisi ai processi cognitivi a prescindere dai relativi qualia. A loro avviso, le caratteristiche indispensabili della cognizione sono:

  • gli stati cognitivi devono implicare un contenuto intrinseco, non-derivato;
  • i processi cognitivi devono essere individuati causalmente come una categoria ben determinata.

Queste condizioni ci impediscono di parlare di cognizione extracranica nel caso del giocatore di Tetris e in quello di Otto perché si ha a che fare con contenuto derivato e perché i processi implicati sono profondamente differenti. Nel caso del giocatore di Tetris, la prima modalità usa sicuramente un contenuto intrinseco ed è quindi cognitiva, ma nella seconda modalità non abbiamo a che fare con un contenuto intrinseco, anzi non abbiamo proprio nessuna rappresentazione mentale; i processi causali implicati, poi, sono presumibilmente molto differenti nel caso della rotazione mentale e in quella della rotazione sul computer. Anche le credenze di Inga e Otto sono molto differenti, quella di Inga ha un'intenzionalità intrinseca mentre i simboli sul taccuino di Otto hanno un'intenzionalità solo derivata; infine, il processo causale che porta Inga e Otto ad avere la stessa 'credenza' è chiaramente molto differente.

I sostenitori della mente estesa commettono l'errore di ritenere che l'accoppiamento di un oggetto o un processo X a un oggetto o processo Y implichi che X faccia parte di Y [Adams e Aizawa (2001), e più diffusamente Adams e Aizawa (in corso di pubblicazione), in cui viene chiamato coupling-constitution fallacy, mentre Rupert (in corso di pubblicazione) lo chiama abuso del dependance reasoning]. Non è il semplice accoppiamento, sia pur costante e affidabile, al vostro taccuino che rende il suo contenuto parte della vostra memoria come ritiene Clark. Le relazioni di accoppiamento sono troppo aleatorie e sostanzialmente differenti dalle relazioni costitutive. E' alla natura della risorsa che dobbiamo puntare per stabilire se è cognitiva o no.

Un'altra difficoltà che sia Adams e Aizawa (2001 e in corso di pubblicazione) sia Rupert (in corso di pubblicazione) sottolineano è il rischio di complicare inutilmente le cose e far rientrare nel campo del cognitivo tutta una serie di oggetti e processi che difficilmente possono costituire un insieme di indagine sufficientemente coerente e omogeneo per la scienza cognitiva.

Butler (1998) e Di Francesco (2004) sottolineano la sostanziale differenza tra l'esperienza introspettiva di Inga e quella percettiva di Otto.

Michele Di Francesco (2004) ritiene inoltre che la concezione della mente incorporata e distribuita trascura aspetti essenziali dei fenomeni mentali quali la dimensione soggettiva dell'esperienza e l'identità personale.

Secondo Diego Marconi (2005), a parte la secondaria obiezione che l'uso linguistico quotidiano non si accorda affatto con quanto pretendono i sostenitori della mente estesa - nessuno direbbe di saper fare "a mente" 432 x 7215 facendolo con carta e matita; anzi "a mente" viene usato proprio per il caso contrario - c'è una difficoltà più importante perché le stesse condizioni che Clark e Chalmers pongono sulle risorse esterne escluderebbero il taccuino di Otto dal cognitivo, infatti non può essere sempre facilmente e rapidamente accessibile.

Alberto Oliverio (2005) pur accettando l'importanza degli 'amplificatori' della mente (Bruner, 1968) ritiene che si debba rifiutare una concezione estrema che caratterizza le operazioni mentali in funzione del contesto ambientale perché così facendo si riduce l'importanza dei rapporti tra struttura cerebrale e funzione mentale. Per esempio, l'uso dei simboli esterni come un mezzo per innescare funzioni mentali astratte altrimenti impossibili, non tiene conto che la mente, umana e animale, è di per sé capace di operazioni astratte anche senza l'aiuto di simboli esterni.

Mentre David Chalmers – forse non a caso – scompare dall'ampio dibattito che nasce dal suo articolo scritto assieme a Andy Clark, quest'ultimo ritorna più volte sull'argomento difendendo e definendo meglio la sua posizione.

In Clark (in corso di pubblicazione), si oppone alla condizione di intenzionalità intrinseca (non convenzionale) imposta ai processi mentali da Adams e Aizawa, proponendo il caso di qualcuno che pensa ai diagrammi di Eulero. Secondo Adams e Aizawa, le operazioni nella nostra testa sui cerchi di Eulero non avrebbero il significato normalmente attribuitegli (dal momento che per loro un significato convenzionale non può essere nella testa) e le operazioni sui cerchi di Eulero sulla carta non sarebbero cognitive (poiché, sempre secondo loro, si svolgono su significato convenzionale e non naturale). Eppure ci troviamo di fronte a un caso di contenuto genuino, non-derivato, ma convenzionale; cosa che compromette la solidità concettuale del contenuto intrinseco e dimostra che la divisione tra significato naturale e convenzionale è ingiustificata. La pretesa di escludere dal campo della cognizione tutta una serie di risorse che abbiamo imparato ad usare semplicemente perché il loro significato è stabilito in modo convenzionale sembra davvero una testardaggine che restringe in modo esagerato le operazioni cognitive che possiamo svolgere.

Molto preciso e interessante è il saggio di Menary (in corso di pubblicazione) in cui propone che l'ipotesi della mente estesa vada inserita in un progetto più radicale che chiama "integrazione cognitiva", cioè l'idea che veicoli e processi interni ed esterni siano integrati in un tutto.

Come prima cosa definisce quattro tesi che compongono l'integrazione cognitiva:

  • Manipolazione

Spesso l'agente porta a termine un "compito cognitivo" manipolando veicoli esterni nell'ambiente, in modo individuale o cooperativo. [Nome da Rowlands (1999)].

Questa è la tesi più spesso criticata dagli internalisti. Secondo Menary, ci sono tre classi di manipolazione:

  • casi biologici di accoppiamento. (per es. fenotipo esteso o visione animata; Ballard (1991), Gibson (1979), O'Regan & Noe(2001))
  • casi di azioni epistemiche. Kirsh & Maglio(1994), Clark (1997, 1998, 2003)
  • casi di pratiche cognitive. Forse il più importante. Per es. algoritmi matematici Rumelhart & McClelland (1986)
  • Mente ibrida

La cognizione deve essere intesa come integrazione tra veicoli/processi interni e esterni

  • Trasformazione

La nostra capacità di manipolare oggetti esterni è frutto di una trasformazione, un apprendimento, una pratica che abbiamo imparato a svolgere.

  • Norme cognitive

La nostra capacità appresa di manipolazione di oggetti esterni è incomprensibile se non si tengono presenti le norme che abbiamo imparato ad applicare (si pensi alle notazioni matematiche)

Quindi controbatte all'accusa della fallacia dell'accoppiamento mossa dagli internalisti, poiché l'idea dell'esistenza di un agente cognitivo Y già formato e ben individuato prima dell'accoppiamento con X è essa stessa una forma residua di internalismo. L'agente Y sorge in virtù della manipolazione di X. Otto è un agente cognitivo in grado di ricordare proprio perché il suo taccuino forma un unico sistema insieme ai suoi processi interni. Inoltre gli integrazionisti non sostengono affatto che ci sia una somiglianza tra processi interni ed esterni, é proprio la loro differenza che permette di ampliare le capacità cognitive.

In definitiva mi sembra che le accuse reciproche tra i due schieramenti – talvolta implicite, talvolta esplicite – riguardano spesso un punto più generale. Gli internalisti etichettano i sostenitori della mente estesa come comportamentisti poiché ritengono che qualsiasi cosa equivalente ad un sistema cognitivo sia un sistema cognitivo. Gli esternalisti ribattono sostenendo che la loro non è una posizione comportamentista, ma funzionalista e sospettano che gli internalisti di essere degli inguaribili essenzialisti.

Infine sempre su questo punto e sul rapporto tra Extended Mind e Embodied Mind, mi sembra interessante riportare queste chiare parole di Di Francesco (2004), "… una concezione del mentale … che assimila la mente all'elaborazione dell'informazione non solo è compatibile, ma in qualche senso conduce verso, due direzioni apparentemente opposte ma in realtà complementari: embodiement (incorporazione: ovvero l'intrusione della mente nel corpo), e de-embodiment (scorporazione e/o mente distribuita: ovvero l'intrusione della mente nel mondo."



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